IL CONSUMO DI SUOLO E’ PEGGIO DEGLI INCENDI

di PAOLO CARUSO (agronomo) – L’ultimo, monumentale, rapporto dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), dal titolo “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”, sottolinea una gravissima situazione che pone l’Italia in una situazione di profonda allerta.

Secondo l’ISPRA, nel 2020 abbiamo perso 56,7 km quadrati di terreni naturali che hanno lasciato posto a nuovi cantieri, edifici, insediamenti commerciali, poli logistici, infrastrutture e altre coperture artificiali, arrivando a un totale di oltre 21 000 km quadrati, ovvero il 7,11% del totale del territorio nazionale, quasi il doppio rispetto alla media europea che si assesta al 4,2%.

Il costo economico di questo fenomeno, con la scomparsa di servizi ecosistemici non più ripristinabili, è stimato in oltre tre miliardi di euro l’anno. Il costo che in realtà dovremo affrontare non è quantificabile.

Ricordiamo che per consumo di suolo si intende: “Il fenomeno associato alla perdita di una risorsa ambientale fondamentale, dovuta all’occupazione di superficie originariamente agricola, naturale o seminaturale. Il fenomeno si riferisce, quindi, a un incremento della copertura artificiale di terreno, legato alle dinamiche insediative. Un processo prevalentemente dovuto alla costruzione di nuovi edifici e infrastrutture, all’espansione delle città, alla densificazione o alla conversione di terreno entro un’area urbana, all’infrastrutturazione del territorio” (definizione ISPRA).

Il consumo di suolo è la forma più impattante e irreversibile tra le diverse cause di degrado di questa limitata e preziosissima risorsa ambientale, più della riduzione della sostanza organica nel terreno causata da pratiche agricole proprie dell’agricoltura intensiva, o della desertificazione in senso lato, per non parlare della piaga degli incendi.

Il rapporto dell’ISPRA sottolinea come questa pratica porti a un serio rischio legato alla perdita di biodiversità, vegetale e animale, la cui importanza non viene adeguatamente sottolineata.

I numeri del documento, purtroppo, non hanno provocato un logico senso di allarme in seno all’opinione pubblica, giustificato in parte dal disinteresse con cui è stato trattato dal circuito mediatico.

Eppure, se si continuasse con questo ritmo, ovvero con una velocità di copertura artificiale pari a 2 mq al secondo, ci sarebbero pesanti ricadute anche da un punto di vista economico; dal 2012 ad oggi la riduzione di terreno agricolo non ha potuto garantire la fornitura di 4 milioni e 155 mila quintali di prodotti agricoli, l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua piovana (che ora scorrono in superficie su catrame e cemento, aumentando la pericolosità idraulica dei nostri territori) e lo stoccaggio di quasi tre milioni di carbonio (dati ISPRA).

Malgrado questi dati folli è in atto una vera e propria campagna di guerra a favore dell’installazione di impianti fotovoltaici sui terreni agricoli, operata da grandi player energetici, dotati di risorse finanziarie illimitate e facilitati dallo stato di estrema difficoltà in cui versano agricoltura e agricoltori italiani.

Nessuno è contro l’idea di sostituire l’energia fossile con quelle rinnovabili, ma non a spese delle pratiche agricole.

Anche per questo specifico settore le statistiche smentiscono i fautori dell’insediamento di impianti fotovoltaici sui terreni agricoli.

Si stima che da qui al 2030 saranno tra 200 e 400 i chilometri quadrati di aree agricole sfumati per installare impianti fotovoltaici, a cui se ne aggiungerebbero 365 destinati a nuovi impianti eolici.

L’ISPRA stima che sfruttando i tetti degli edifici esistenti, i parcheggi, le aree produttive e commerciali, le aree dismesse o i siti contaminati potrebbero essere installati pannelli per una potenza totale più che doppia rispetto ai 30 gigawatt che il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima prescrive di aggiungere entro il 2030.

Per ovviare a questa criticità si sta pensando di realizzare impianti di agrovoltaico, per un totale di 2 GW, che non prevedono il posizionamento diretto sul terreno ma su strutture rialzate, così da favorire la coltivazione al di sotto degli impianti. La potenza realizzabile per ettaro dipende dal tipo di installazione, con valori tra 0,3 e 0,8 MW per ciascun ettaro e una superficie occupata in un intervallo compreso tra 2.500 e 6.700 ettari.

Il terreno si potrebbe coltivare, ma con risultati incerti, non avendo il supporto di una necessaria attività di ricerca, e lo stesso paesaggio risulterebbe completamente deturpato.

Occorre che il sogno (di tutti) di trarre energia pulita dal sole, non si trasformi nell’incubo di vedere trasformati incontaminati paesaggi rurali in distese infinite di specchi.

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