IL COME SAREMO VISTO DAL 1962

di GIORGIO GANDOLA – È tutto scritto, è l’eterno ritorno del sempre uguale. Dall’uomo in mascherina si sta passando all’uomo in plexiglas al ristorante, in spiaggia, sul lavoro. Il futuro in libertà vigilata dal virus è simile al passato alienato di metropolis con il distanziamento sociale come variabile fantasiosa. Il destino dell’umanità in coda davanti ai supermercati, in attesa di un tram o in partenza per la vacanza sicura era già scritto e illustrato su una copertina geniale e allucinata della “Domenica del Corriere” del 1962.

Raffigura un ingorgo di uomini e donne in una via del centro urbano, ciascuno incapsulato in campane di plastica alla guida di motorette a più ruote che oggi potremmo paragonare ai monopattini elettrici con sconto governativo con i quali Giuseppe Sala sta per invadere Milano (8000 esemplari in arrivo oltre i 3000 già piazzati negli stalli). Titolo del vaticinio disegnato a colori: «In città gireremo così?». E per buttare lì un anno che allora indicava un mondo lontano e adesso un incubo vicino, l’articolo parla del 2022. Dopodomani.

Quelle persone protette dalla plastica, ciascuna dentro il proprio scafandro, sono i simboli della società al tempo del Covid. Indicano la divisione suprema, la voglia di solitudine determinata dalla diffidenza e dalla paura del contagio. Quegli automi in cravatta o in pelliccia che si muovono piano in una Times Square planetaria sono unità unicellulari senza speranza. Isole nella corrente, blindate, pronte a rifiutare ogni contatto, con nel cassetto del cruscotto l’autocertificazione regionale. Oltre non si può, fuori dal perimetro non si va, hic sunt forcones.

È illuminante e triste stare dieci secondi di troppo su quella copertina. Vale tutto il film “2001 Odissea nello spazio” (senza voler neppure sfiorare il genio di Stanley Kubrick). Ma la previsione da Mago Otelma è impressionante. Milioni di uomini soli con la vita regolata da decreti presidenziali di secondo grado, le libertà contingentate, i droni di controllo, le grida poliziesche. Tutto per il bene collettivo quando la collettività non esiste più nel suo senso più profondo, visto che quattro persone e un bicchiere di prosecco fanno un assembramento. Visto che un lombardo in Sardegna o porta la cartella clinica oppure è un appestato.
Potrebbe anche essere il contrario, non facciamo i furbi.

Qui si coglie un’inversione di tendenza determinata dal microorganismo letale. Dopo il crollo dell’economia nel 2011 il mondo avvelenato dai titoli tossici della finanza aveva capito che l’individualismo era perdente, che l’uomo solo al comando valeva solo per lo Sport. E per qualche anno la filosofia del noi era tornata a governare la politica sociale. L’io in declino, il noi in rimonta. Socialità, strette di mano, il senso della collaborazione e della sussidiarietà.

Tutto spazzato via un’altra volta dall’ondata micidiale del virus. E allora ecco la copertina uscita da un vecchio cassetto, targata 1962: uomini soli dentro uno scafandro a motore, sperduti e incapaci di tornare a parlarsi, a confrontarsi, a litigare, ad amarsi.

Più che una realtà è un incubo di fronte al quale non c’è che un rimedio. Aprire le capsule, mostrare un po’ di coraggio. Tornare a guardare l’altro, ad ascoltarlo e a capirlo. Incontri ravvicinati del terzo tipo in grado di accorciare il distanziamento sociale. Il 3 giugno porta con sé paura e speranza. Forse vale la pena prendere qualche rischio, prima che un’emergenza troppo lunga si trasformi in barbarie.

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