CELLULARE CUBANO: DAL SOCIALISMO AL SOCIAL

di MARIO SCHIANI – “Pronto? C’è Guevara?”. Nel leggere la notizia, la battuta è venuta spontanea. A Cuba, però, la cosa è presa molto seriamente: dopo aver “aperto” a Internet nel 2018, l’isola si prepara ora a produrre il suo primo smartphone tutto “fatto in casa”: autarchico, diremmo, se la definizione non evocasse altri tempi e altri regimi.

Lo fabbricherà, manco a dirlo, un’azienda di Stato, la Gedeme, che al momento ha presentato il disegno di tre modelli di “fascia medio-bassa”, come si conviene a chi punta all’unione dei proletari di tutto il mondo anche tramite telefono.

Sui beni di consumo prodotti nei Paesi socialisti si ricorda una barzelletta raccontata nientemeno che da Ronald Reagan. Dopo aver risparmiato anni e anni, un cittadino dell’Unione sovietica finalmente può permettersi di comprare un’automobile. Va dal concessionario, firma il contratto e si sente dire: «Congratulazioni, l’automobile le verrà consegnata tra dieci anni». «Al mattino o al pomeriggio?» replica lui. «E che differenza fa?» «Al mattino ho l’idraulico».

A Cuba sembrano invece intenzionati a cancellare questo luogo comune, tanto è vero che i primi seimila esemplari del telefonino arriveranno nei negozi a fine mese. Ed è lì che misureremo una volta per tutte se, in effetti, il mondo socialista è riuscito in decenni di lotte e, diciamolo, di fallimenti sanguinosi, a distinguersi in qualche modo da quello capitalista, ovvero a forgiare, almeno in parte, un “uomo nuovo” che, conquistato all’egualitarismo, sappia elevarsi sul resto del umanità la quale, accanto ai benefici del mercato, continua a essere “inquinata” dai suoi lati meno luminosi come l’avidità, la speculazione, la dittatura della merce e delle mode.

Se per i seimila telefonini di Stato si vedranno, a Cuba, le stesse scene che vediamo a New York e a Parigi, a Londra e a Tokyo, a Roma e a Pechino, ovvero gente in coda per ore e ore, a volte per giornate intere, allo scopo di assicurarsi subito il nuovo modello di iPhone, allora sapremo che Karl Marx e Adam Smith, nell’aldilà che forse solo uno di loro ammetteva, allargheranno le braccia a riconoscere che entrambe le loro ricette non sono in grado di portare l’uomo a un livello che resta, e probabilmente resterà sempre, utopico.

Lo stupore generato dal telefonino cubano è comunque curioso se pensiamo che, in fondo, da parecchio tempo circolano tra noi smartphone “socialisti”: quelli cinesi di Huawei. Si vede che la Cina non è più percepita come un Paese all’inseguimento di una sia pur malintesa utopia. Il materialismo cinese non è dunque “storico” ma molto presente a sé stesso: fatto di consumi, crescita del Pil, influenza economica. Il socialismo offre solo la scusa per mantenere un apparato governativo monolitico e onnipresente, con il quale schiacciare ogni cittadino che intraprenda la strada dell’individualismo.

In ogni caso, molto meglio per tutti che Cuba giochi con i telefonini invece che con i missili come fa la Corea del Nord. Chissà se si rende conto che con il telefonino ha introdotto il “baco” destinato probabilmente a distruggere una volta per tutte ciò che resta della sua utopia. Con l’arrivo di Facebook, sia pure in versione di Stato (“Caralibro”?), il passaggio da “socialismo” a “social” sarà breve. Ma definitivo.

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