di PAOLO CARUSO (agronomo) – Il 23 novembre 2020, la Knorr, azienda della multinazionale olandese Unilever, ha presentato il «Ricettario del Buon Cibo», realizzato in collaborazione con il “CREA Alimenti e Nutrizione”, il cui obiettivo dichiarato è quello di “far sperimentare alle generazioni più giovani un nuovo modo di mangiare”.
L’iniziativa si inserisce nel novero di quelle attività che i grandi gruppi realizzano soprattutto per rifarsi una verginità a livello di immagine e che infatti molti definiscono “greenwashing”.
La Knorr è un’azienda che produce, in gran parte, insaporitori che contengono grasso di palma totalmente idrogenato e glutammato monosodico.
Ma l’aspetto vagamente tragicomico della vicenda riguarda l’endorsment che questa iniziativa ha ricevuto dal Centro di ricerca “CREA Alimenti e Nutrizione”, un ente pubblico non economico di ricerca, vigilato e finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (MIPAAF).
Gli obiettivi dichiarati del CREA sono tutelare i prodotti nazionali e valorizzare i principi della ‘dieta mediterranea’, un modello alimentare riconosciuto perfino dall’UNESCO come patrimonio immateriale dell’umanità.
Il compito del MIPAAF dovrebbe essere quello di vigilare sull’azione di questo Ente.
Le forti perplessità che ha sollevato questa operazione hanno convinto recentemente diversi parlamentari a depositare un’interrogazione nei confronti della ministra dell’agricoltura Bellanova.
Scorrendo il testo dell’interrogazione si rileva che nelle FAQ del sito della Knorr/Unilever sono riportate alcune informazioni quali: “L’uso generalizzato del glutammato come additivo per i cibi è innocuo per l’intera popolazione”.
Nella stessa sezione del sito si trovano ulteriori spunti interessanti come ad esempio: “L’estratto di carne Knorr si ottiene a partire dalla preparazione di un brodo di carne bovina, generalmente di provenienza Argentina o Brasiliana”, oppure, “Per quanto riguarda le ragioni salutistiche, l’olio di palma, se consumato nell’ambito di una dieta varia ed equilibrata, non aumenta il rischio di malattie cardiovascolari”.
A nessuno risulta che il glutammato o l’olio di palma siano assolutamente innocui per la salute o che l’importazione di carne o di olio di palma dal Sud America abbiano un impatto quantomeno neutro sulla sostenibilità ambientale. Oltretutto, scorrendo le ricette inserite in questo progetto, si trovano molti alimenti, tra cui la quinoa o lo zenzero, che non risulta vengano coltivate nel nostro Paese.
Ciò nonostante, Andrea Ghiselli, dirigente di Ricerca del CREA Alimenti e Nutrizione, ha dichiarato che “il progetto ‘Buon Cibo’ risponde alla perfezione alle raccomandazioni dell’ultima revisione delle Linee Guida per una sana alimentazione secondo le quali, per migliorare la salute dell’uomo e quella dell’ambiente in cui vive, è necessario aumentare il consumo di prodotti vegetali: cereali integrali, frutta, verdura e legumi, e frutta secca in guscio il cui consumo è basso nella popolazione occidentale, Italia compresa”.
Peccato che abbia omesso di dichiarare che il consumo deve essere di alimenti freschi e non certamente conservati con l’ausilio di sostanze chimiche e sigillati in una bella busta, come quelle tipiche dell’azienda in questione.
Il problema che solleviamo va ben oltre l’episodio in questione; l’aspetto più preoccupante riguarda la promiscuità tra un ente di ricerca pubblico e una multinazionale, aggravata dalla certificazione e approvazione di una strategia di produzione che, con il pretesto di garantire la sostenibilità del pianeta e una maggiore salubrità nella dieta delle persone, favorisce esclusivamente l’uso dei propri prodotti, con ricadute potenzialmente devastanti per l’intera filiera agroalimentare del nostro Paese.
Il nostro Paese ha bisogno di difendere i propri prodotti, queste operazioni servono solo a screditare la ricerca scientifica e a deprimere i meravigliosi produttori nostrani.