IL BIMBO UCCISO DAL PADRE E QUEL RIDICOLO “DIVIETO DI AVVICINAMENTO”

Ricoverato per Covid, lascia tranquillamente l’ospedale e tranquillamente raggiunge la casa di Vetralla, nel Viterbese, dove uccide il suo bambino di 10 anni. E’ il suo modo, il modo maturato da una mente in irreversibile cortocircuito, di vendicarsi sulla moglie, che da tempo non lo vuole più. Inutile, diremmo farsesco e patetico, il “divieto di avvicinamento” che la misera giustizia italiana aveva posto come argine al suo odio e ai suoi progetti sanguinari. Per il padre assassino, un polacco, adesso c’è la galera. Adesso. Ma per quel bimbo non c’è più niente: non un sogno, non un domani, non una vita.

Davanti all’insostenibilità di fatti simili, sempre più ricorrenti, sempre più crudeli, bisogna porsi ormai una sola domanda: cos’altro deve ancora succedere per convincerci che questo “divieto di avvicinamento” imposto al coniuge pericoloso è misura inutile, ridicola, a suo modo complice? Affrontare una portaerei con il cotton fioc, questo è, né più né meno.

Raccontano i vicini di Vetralla che i carabinieri ogni tanto passavano sotto la casa della mamma e del suo bambino. Sai che roba. Chiunque di noi sa che un marito, un fidanzato, un amante respinto è capace di coltivare l’assedio a distanza con diabolica meticolosità, precipitando giorno per giorno, ora per ora, il suo obiettivo nel terrore cupo. Figuriamoci se la misura per tenerlo alla larga è una carta bollata con su scritto, più o meno, non fare il birichino, gira alla larga dalla famiglia, prendi la bindella e misura un chilometro, dieci chilometri, e non mettere un piede dentro l’area protetta.

Come si vede a cicli ormai sempre più ricorrenti, il cervello malato di chi cova l’ossessione vendicativa è molto più efficiente e scaltro di questa pietosa imposizione burocratica. Chi progetta la sua vendetta sa aspettare il momento buono, perchè fretta non ne ha. Prima o poi, l’occasione per l’agguato si presenta. E a quel punto non c’è divieto che possa fungere da deterrente, tanto meno da minaccia: chi vuole risolvere a modo suo la rovina di una vita non bada più a spese, sa di giocarsi tutto, poco gli importa. Gli importa solo di negare all’altra la possibilità di un futuro: nessuno deve avere più futuro, in queste storie così disperate.

E allora: prendiamo atto, una buona volta, che questa è una vera emergenza nazionale. Più del bonus facciate e dell’incentivo ai monopattini. Qui c’è di mezzo la vita di tanti esseri umani precipitati nel terrore quotidiano, quando poi non è un precipizio definitivo nel sangue. Per favore qualcuno si prenda la briga di buttare al macero questo idiota “divieto di avvicinamento”, che non serve a niente, che non spaventa nessuno e non protegge nessuno.

Basta un minimo sindacale di sensibilità e di immaginazione per comprendere il terrore che accompagna ogni singolo minuto di certe donne e dei loro figli, non c’è come sapere che ogni volta può esserci sottocasa l’incubo di un ex con tutte le intenzioni di regolare i conti a modo suo, di risolvere definitivamente l’affronto di un rifiuto insostenibile.

Ci vuole altro, ben altro, che il buffetto della giustizia: stai lontano, non ti avvicinare, gira alla larga. Come se a certi animi prepotenti e svalvolati potesse fare il solletico. E’ evidente: serve altro, serve di più. C’è di mezzo il rispetto per le libertà individuali del soggetto pericoloso, mica lo si può sbattere in galera a titolo preventivo. Ma c’è di mezzo, prima ancora, il diritto a vivere decentemente per chi ha la sola colpa di aver detto basta. Le idee ogni tanto circolano, a cominciare dalla misura elementare dei braccialetti, però controllati davvero, con una pattuglia che parte sgommando non appena il congegno segnala uno sconfinamento. Da tanto tempo conosciamo i programmi di protezione, istituiti per tutelare supertestimoni e pentiti, loro e famiglie: c’è da chiedersi perchè questi programmi di protezione, con tanto di trasferimento in luoghi lontani dei soggetti in pericolo, non si possano estendere a queste povere creature in balìa dei loro spietati persecutori.

Gli esperti del ramo possono inventarsene mille altre. Ma serve la volontà e l’attenzione di chi stabilisce le regole, quelli che sembrano tanto umani e solerti quando si parla del fatturato di una partita Iva o della ripartenza degli skilift.

Quel bambino di 10 anni sgozzato dal padre, ultimo della lunga lista, grida il suo atto d’accusa a una società che si spaccia per civile. Come rispondiamo, ancora una volta: con il simpatico “divieto di avvicinamento”? Se anche stavolta è così, se nessuno avverte quel grido e subito dopo il dovere di muoversi, quanto meno risparmiamoci tante chiacchiere di sdegno e di compassione. Meglio il silenzio e la vergogna, decisamente meno ipocriti.

 

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