La Fondazione Libellula di Milano, nata nel 2017 come iniziativa per promuovere cultura contro la violenza sulle donne e la discriminazione di genere, ha presentato nei giorni scorsi i risultati di una ricerca in merito alla rappresentazione della violenza di genere tra i nostri adolescenti.
Sono stati intervistati quasi 1600 giovani tra i 14 e i 19 anni, divisi equamente tra maschi e femmine, e i risultati sono purtroppo sconfortanti. Per due ragazzi su dieci non è una forma di violenza isolare il proprio partner mettendogli contro amiche e amici e non è considerata violenza neanche chiedere foto intime. Per quasi tre ragazzi su dieci e per una ragazza su dieci non è una forma di violenza nemmeno toccare una persona senza il suo consenso. Ma, ancor più grave, per uno su quattro è normale diventare violenti se si scopre un tradimento e pertanto il controllo è inteso come una conseguenza dell’amore. Il 40% non reputa sia un abuso voler conoscere le password dei social o controllare il telefono del partner. Più di un adolescente su dieci ha ricevuto pugni, schiaffi, calci e oggetti lanciati addosso dal partner o dalla partner, mentre uno su cinque è stato strattonato. Per un adolescente su tre quando le ragazze si negano, in realtà intendono accettare.
Sostanzialmente, nonostante l’apparente modernità della nostra società, permangono anche tra i più giovani stereotipi e comportamenti maschilisti. Non a caso, le ragazze danno risposte più consapevoli, in merito alla differenza tra controllo e affetto. Si minimizza la violenza di genere, reputando naturale che il maschio sia predatore e la donna una preda. Si tratta di un bagaglio pesante che condiziona il loro modo di vivere l’amore e che certamente trova origine nell’ambiente familiare e sociale che li circonda. Anche alcuni generi musicali in voga tra i ragazzi esaltano un modello violento, in cui il maschio può stuprare all’interno di rapporti occasionali. Nella ricerca si fa notare come l’Italia sia uno dei pochi paesi europei in cui l’educazione sessuale ed affettiva, reputata un discreto fattore di protezione, non sia materia scolastica obbligatoria.
Provando a commentare tali dati, il punto di partenza è l’osservazione di come sempre più precocemente i ragazzi provino a imitare gli adulti. A partire dal possesso di cellulari, computer e mezzi di trasporto viene consentita loro un’autonomia che li fa sentire “grandi”, senza che essi posseggano né la struttura psichica, né esperienze né capacità critica adeguata. Per alcuni adolescenti, l’inevitabile difficoltà ad aderire a modelli complessi può sfociare in disagio psichico, in altri può comportare l’identificazione con modelli violenti e prepotenti, illusoriamente adulti. Infatti, anche in altri campi, ad esempio le baby gang, si assiste a casi di violenza talvolta efferata compiuta da minorenni. Nel campo delle relazioni affettive, pare che proprio la loro inesperienza e insicurezza possano renderli in taluni casi particolarmente gelosi o violenti, come se questi atteggiamenti più eclatanti fossero le forme effettive dell’amore.
Ovviamente, il discorso del passaggio dei modelli educativi tra genitori e figli è complesso. Io credo, per dirla breve, che nonostante anche in passato la comunicazione tra generazioni fosse pure più scarsa, i messaggi educativi più importanti riuscissero comunque ad essere trasmessi. Ora, invece, proprio grazie ai mezzi tecnologici a loro disposizione, gli adolescenti sono assai diversi dai loro padri: parlano in altro modo, sanno fare altre cose, posseggono capacità informatiche sconosciute e tale distanza comporta una più profonda reciproca incomprensione. Si è più estranei, con la conseguente inefficacia della trasmissione di regole e valori.