Metti insieme la mitizzata egemonia di sinistra, con la sua finta comunione assembleare (e con l’ancor più finta pretesa di condivisione delle scelte), mettila insieme all’insopprimibile istinto “mammone” dell’Italia peggiore, e otterrai un quadro, abbastanza definito, della scuola italiana del terzo millennio. Una scuola in cui si è voluto introdurre il meccanismo burocratico dei ‘soviet’, riempiendo l’anno scolastico di consigli, assemblee, riunioni collettive, col solo risultato di rallentare qualunque iniziativa e di diluire qualsivoglia responsabilità individuale.
Del pari, questo aprire le porte alla società, ha significato aprire le porte a stormi di genitori ansiosi, arroganti, iperprotettivi e convinti di avere a che fare con pezze da piedi travestite da docenti. Ecco dunque un impietoso ritratto di quello che oggi è diventata la scuola: un cortile spalancato a tutte le istanze, un laboratorio pronto ad accogliere qualunque astruseria educativa e, soprattutto, una fonte di cultura contestabile, opinabile, priva di autorevolezza e gonfia di relativismo d’accatto. Perciò, qualunque genitore, animato dal sentimento di difesa della prole, convinto di avere messo al mondo un genio e ben certo di avere di fronte un imbelle passacarte, si sente in dovere di mettere il naso dappertutto, nel percorso scolastico del pargolo: di contestare, di protestare, di puntualizzare. In altre parole, di sostituirsi all’insegnante, fino a pretendere di stabilire il voto destinato al proprio figliuolo.
La situazione, da questo punto di vista, ha raggiunto livelli mai toccati prima: nei Consigli d’Istituto, i genitori hanno l’ultima parola sui fondi e sui viaggi d’istruzione e pretendono di dettare le linee guida della scuola, cosiddetta autonoma. Nei Consigli di Classe, contestano spietatamente l’operato degli insegnanti, al primo segnale di disagio dei ragazzi. Per fortuna, non hanno accesso ai Collegi Docenti: anche se lì, per la verità, non c’è bisogno di contributi esterni per combinare disastri. Insomma, non se ne può più di queste famiglie piene di aspettative ed ansiogene, arroganti e sbraitanti: i genitori stiano al loro posto, come farebbero al cospetto del giudizio di un avvocato o del referto di un medico.
A questa conclusione sono arrivati prendendo posizione pubblica, buoni ultimi, perfino i pedagogisti, che denunciano la gravità della situazione e il peso insopportabile rappresentato dai genitori, nel percorso educativo degli studenti. Resta sospesa nell’aria la solita domanda: e voialtri pedagogisti, prima, dove eravate? Quando la scuola si riempiva, mano a mano, di queste bubbole inclusive, cosa facevate, di che scrivevate, illustrissimi pedagogisti? Non è che, magari, sull’onda del mainstream, invocaste maggiore apertura verso l’esterno, maggiore coinvolgimento della società nel mondo scolastico? Insomma, non è che i genitori, nei meccanismi della scuola, ce li avete portati voi, con le vostre scemenze psico-educative, salvo poi accorgervi che si trattava di una sesquipedale idiozia e fare marcia indietro, dando la colpa di questo degrado non si sa bene a chi?
La tattica è ben nota ed efficace: ne fu l’eponimo tale Talleyrand, che in questo modo sopravvisse almeno a quattro o cinque rovesciamenti di fronte. E ne parla a proposito Carlin Porta, nel suo “Brindisi di Girella”. Mai che uno di voi ammetta le proprie colpe, cari pedagogisti: mai che qualcuno abbia il coraggio di ammettere le proprie scellerate scelte. Perché sono scelte che vi hanno riempito le tasche e, pecunia, come si sa, non olet. Perciò, alè, buttiamo dentro il calderone genitori e bidelli, insegnanti e dirigenti, studenti e segretari: mettiamoli tutti assieme a decidere e, così, salviamo la facciata della democrazia! Poco importa se ne uscirà un guazzabuglio inestricabile: tanto, allora, potremo sempre lanciare un allarme per i danni del sistema e far finta di esserne del tutto estranei. A metà tra il Grillo Parlante e Giano Bifronte.
Dunque, per concludere, è verissimo che i genitori rappresentino, dati i costumi italici dell’oggi, un’autentica jattura per l’attività didattica. Ma è altrettanto vero che i pedagogisti sono l’ultima categoria deputata a protestare per la situazione. Solo che, finchè lo denunciano quelli che nella scuola ci lavorano, un problema è del tutto irrilevante per i mezzi di comunicazione: appena lo stesso problema finisce nelle mani di uno di quelli che contano, un oracolo, un dulcamara qualsiasi, ecco che la stampa gli dedica paginate. E’ sempre stato così e sempre così sarà. Fino all’estinzione della scuola.