di CRISTIANO GATTI – Cari ventenni d’oggi, forse è il caso di spiegare perchè improvvisamente vedete noi ventenni di un altro tempo, i vostri padri e i vostri zii, a ciglio umido e con la faccia un po’ così. Dire a voi che la ragione sta nella morte di Paolo Rossi può davvero sembrare eccessivo. Siete inevitabilmente portati a pensare che noi babbioni siamo degli inguaribili esaltati con la testa perennemente nel pallone, vedi Napoli e l’Argentina in delirio collettivo per Maradona.
E’ per questo che un momento ce lo dovete concedere. Fate fatica ad ascoltarci, ma stavolta proprio ce lo dovete, perchè stavolta non è così: non siamo tristi perchè abbiamo la testa nel pallone, siamo tristi perchè se n’è andato uno di noi, portandosi via un po’ di noi.
Quando eravamo ventenni noi padri e noi ziii, non potevamo stare connessi alla rete tutto il giorno, Internet neppure ce lo saremmo immaginato. Non potevamo metterci in coda all’alba per comprarci le scarpe arlecchinate di Lidl. Tanto meno potevamo aspettare il primo giorno utile per fuggire da questo Paese, inseguendo all’estero i nostri sogni e le nostre gratificazioni.
All’epoca, bisognava arrangiarsi qui, con quello che c’era. E un giorno d’estate del 1982, Paolo Rossi ci scodellò sul buffet della vita un’illusione imprevista, talmente imprevista da sembrare ancora oggi così grande. Per Paolo Rossi, con Paolo Rossi, noi intendiamo Dino Zoff, il presidente Pertini, la pipa e le partite a carte di Bearzot, la grazia di Scirea, l’urlo di Tardelli. Nella nostra memoria, nella nostra anima, un affresco impareggiabile di gioie improvvise e lievi, qualcosa che aveva inspiegabilmente a che fare con il sollievo e la libertà.
Paolo diventò Pablito ed entrò nella storia, magari non nella grande Storia dei dittatori e dei generali che non piaceva neppure a Tolstoj, ma nella storia vera che piaceva a Tolstoj, la storia sentita e condivisa dei popoli. Questo centravanti non aveva il fisico da supereroe, era mingherlino, ingobbito, ginocchia valghe, ma aveva un pensiero svelto, aveva l’agilità dell’intuito e dell’improvvisazione, aveva la capacità di adattarsi alle situazioni e agli ostacoli, aveva il gusto di non mollare mai divertendosi: in altre parole, era un italiano. Con tanti limiti, ma più forte dei suoi limiti. Migliore di quanto egli stesso credesse. Un italiano fatto e finito.
Fu un mese, non di più. Ma a dimostrazione di come il tempo sia l’espressione massima del relativo, fu un mese che dura ancora adesso, come potete vedere dalle nostre facce. Pablito e gli altri personaggi di quella leggenda vera ci insegnarono ancora una volta che nella vita non può esserci neanche il dolore, se non c’è almeno un ritaglio di gioia. E se ci eravamo scordati di ridere, uscendo dalla stagione cupa del terrorismo, loro ci ricordarono che ridere si può e si deve, sempre, nonostante tutto.
La nostra illusione, la bella illusione, durò come dura la felicità: troppo poco, troppo frettolosa. Già a settembre i boia della mafia trucidarono il generale Dalla Chiesa e sua moglie, richiamandoci subito alla realtà. Alla nostra realtà di Italia malata. Poi venne il tempo del cinismo godereccio, dell’arrivismo e degli yuppies, delle Milano da bere e dell’abolizione totale degli scrupoli. Quindi Mani Pulite, quindi una seconda Repubblica peggio della prima, eccetera, eccetera. Poi siete arrivati voi, ventenni d’oggi, ed è inutile che il vostro tempo ve lo stiamo a spiegare noi.
Adesso, oggi, noi padri e noi zii soltanto vi chiediamo un centimetro di indulgenza. Se ce la fate, persino un minimo sindacale di tenerezza, per comprendere il nostro momento così strano. No, non siamo esaltati che piangono e strepitano per un calciatore qualunque. Siamo solo i vostri padri e i vostri zii un po’ in crisi. Siamo uomini fatti che semplicemente, umanamente, guardandosi indietro con i filtri della nostalgia, dedicano un’ingenua carezza al loro tempo migliore.
tutto vero, magari a rischio diabete ma genuino fino in fondo.
sarà anche retorica ma alla fine che ci serve di più di quella felicità?
La verità è una sola: invecchiamo e questo fa schifo! Abbiamo vissuto un periodo che ha contenuto eventi, cambiamenti e innovazioni che in altre epoche si verificarono in 500 anni ma l’uomo dai tempi dei filosofi greci ad oggi è sempre lo stesso un contenitore di sentimenti ed emozioni con la medesima capienza.
PR20, Pertini, Craxi, Muccioli, ecc ci hanno riempito la mente e il cuore ma oggi siamo stanchi e con la lacrima sempre pronta. Cari vent’anni che non torneranno più dite ai nostri figli e nipoti di usare pazienza e dolcezza per aiutarci a finire il nostro viaggio.