I FARABUTTI (IMPUNITI) CHE SACCHEGGIANO LE OPERE D’ARTE IN CASA RAI

Edizione straordinaria, o meglio ordinaria al quadrato: al cubo. In Italia chi ruba la fa franca, cosa c’è di più ordinario in questo strampalato Paese?

Chi ruba la cosa pubblica poi, chi si appropria dei beni comuni pare godere di corsie preferenziali, di morbidi tappeti che attutiscono i rumori sospetti e all’entrata mostrano la scritta prego s’accomodi. Grazie e arrivederci all’uscita naturalmente. Un bel tunnel che non ha bisogno della luce in fondo, perché già all’ingresso è illuminato a giorno.

La RAI, la RAI che paghiamo tutti e che in qualche modo ci appartiene, possiede un tesoro artistico di tutto rispetto, con tanto di Rosai, De Chirico, Guttuso, Casorati, Nespolo e via spennellando. Meglio, possiederebbe, perché gli originali, buona parte degli originali, hanno preso il volo da tempo, sostituiti da patacche che dovrebbero farne le veci e ingannare gli occhi profani e forse pure quelli devoti.

La parte ridicola, nel già tragicomico intreccio, è il licenziamento di chi per primo aveva denunciato le ruberie interne alla Rai, Nicola Sinisi, direttore del Canone e dei Beni Artistici. Perché la Rai non sbaglia e se sbaglia, o ha delle mele marce in pancia, non si può dire.

Le opere hanno preso il volo da tempo si diceva e da tempo significa dal 1973, anno in cui ebbe luogo il primo furto certificato. Certificato poi, molto poi, pochi mesi fa. Accidentalmente scoperta la prima patacca, molte altre sono seguite.

Il colpevole della prima e di altre razzie è stato individuato, ma non sconterà alcuna pena. E come lui altri e altri ancora. Prescrizione dopo prescrizione, il tempo fugge e la gazza ruba impunita e divertita.

È così, la cosa pubblica in Italia è talmente pubblica che ognuno si sente in diritto di sentirla cosa sua e farne quel che crede. E del resto se è di tutti è anche mia, tua, sua. Non nostra, vostra, loro, proprio mia, tua, sua. Un pubblico privato insomma, secondo i punti di vista un’anomalia o una sagace innovazione.

In Italia siamo così del resto, che si tratti di un museo, di una tela, di un buffet o di una biro a disposizione di tutti in un ufficio. Se è di tutti è proprietà di tutti, ancor più proprietà di chi arriva per primo e se la mette in tasca, poco importa se una volta in tasca non è più un bene comune.

Da veri italiani, la commedia è sempre dietro l’angolo, siamo furbi in modo talmente maldestro e imprevedibile da farla pure franca, tanto chi la sorveglia la cosa pubblica, che è mia, tua, sua, di tutti e di nessuno. E se non la sfanghiamo che importa, ci sarà un’altra occasione.

Possiamo indignarci, inveire, maledire i furbi dietro l’angolo, ma la commedia all’italiana è stata una grande stagione del nostro cinema proprio perché così inverosimile e così vera allo stesso tempo.

La Rai è di tutti, ma forse così è un po’ troppo.

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