I DEMENTI DEL SELFIE

di MARIO SCHIANI – Permettetemi di raccontarvi due storie. Una pescata nella contemporaneità, in questo 2020 così sciagurato, ma emblematica anche degli anni dissestati che gli stanno attorno; l’altra che affonda nel passato, non proprio remoto, tutt’altro, comunque distanziato al punto da apparire diverso. Il confronto, credo, sarà significativo.

La storia contemporanea risale agli ultimi giorni, addirittura alle ultime ore. Tre figuri – di cui uno solo per ora identificato – scattano alcuni “selfie” accanto alla bara, aperta, di Diego Armando Maradona. Il volto del campione, composto nella morte, è ben visibile. Soprattutto, sono visibili le facce dei tre idioti: tutti col pollice alzato a indicare, si presume, piena soddisfazione (“Missione compiuta! Evvai! Figata!”).

Già capirete come questa faccenda rappresenti con crudezza i tempi in cui viviamo. Adesso però aggiungiamo un altro particolare: a foto pubblicate in Rete, scatta un’indignazione che arriva a manifestarsi in minacce di morte rivolte ai tre personaggi di cui sopra: sappiamo bene come la figura di Maradona susciti in alcuni, non pochi, una venerazione confinante con il fanatismo religioso. Ma una “2020-story” non potrebbe essere completa senza una bella “fake news”. E infatti quasi subito inizia a circolare la “notizia” che uno dei tre è già stato gonfiato come una zampogna e/o fatto fuori. Nulla di vero: per quel che si sa, il tizio identificato, un dipendente dell’impresa di pompe funebri incaricata della tumulazione, è stato giustamente licenziato, sugli altri si indaga.

Riavvolgiamo ora il nastro fino all’ottobre del 1993. Federico Fellini è in coma in un letto dell’ospedale Umberto I di Roma. Colto da ictus il giorno 17, si spegnerà a mezzogiorno del 31. Un’agonia che la stampa e le televisioni seguono giorno per giorno se non ora per ora. Il 21 ottobre un fotografo riesce a intrufolarsi nel reparto Rianimazione e scatta un’immagine del maestro intubato. La fotografia viene distribuita dall’Ansa alle redazioni di tutta Italia.

Per tacito accordo, o forse per esplicita intesa, tutti i giornali, nessuno escluso, si rifiutano di pubblicare la foto. Il giornalismo italiano mostra una sorta di coscienza collettiva: che cosa aggiunge questa immagine al racconto delle ultime ore di un grande regista? Nulla, se non un lampo morboso che illumina soltanto il lato peggiore dei nostri istinti.

La differenza tra il 2020 e il 1993 sta dunque in un filtro, in un’espressione di coscienza, di arbitrio morale, che non si può assolutamente scambiare per censura. Qualcuno, in quei giorni dell’ottobre 1993, si ricordò di dover esercitare uno scrutinio critico su ciò che gli passava davanti destinato alla pubblicazione.

Nel 2020 questo scrutinio è saltato, nel nome di un ininterrotto resoconto fai-da-te di una realtà che non solo non viene più “raccontata”, ma che risulta nei fatti immiserita e involgarita. I “selfie” accanto al cadavere di Maradona sono l’ultimo esempio di una tendenza che ci ha permesso di ammirare, tra l’altro, frotte di turisti in posa davanti al relitto della Costa Concordia e gruppi di idioti nei pressi delle strade insanguinate dagli attentati terroristici.

C’è dunque uno scarto sostanziale tra il giornalismo “di mestiere” e questa malintesa libertà di comunicazione oggi permessa dalla tecnologia. Non che il confine sia netto: il giornalismo che ha preso posizione a tutela del privato di Fellini ha prodotto anche il fotografo che ha “rubato” lo scatto, e nel taschino dei fotografi e dei reporter che, in guerra, rischiano la pelle per un servizio c’è lo stesso tesserino riconosciuto ai paparazzi che inseguirono Lady D. nel tunnel di Parigi. Ma un discrimine si impone: il giornalista che supera il limite sbaglia, inciampa nella riga che la deontologia gli traccia davanti, il “selfista” invece non sente di dover rendere conto a chicchessia.

E dunque? Dovremmo forse invocare divieti e censure preventive, limiti nell’uso del social e dell’accesso alla Rete? Il punto, in realtà, è un altro: tutto sta nel capire per davvero quel che si sta facendo. Il comunicatore per mestiere sa bene (o dovrebbe sapere bene) che il soggetto di una fotografia o di un articolo è ciò che sta nella fotografia e nell’articolo, non lui stesso. Lui può metterci del suo – anzi, deve metterci del suo – per meglio raccontare ciò che vede o ciò che gli viene riferito, ma il soggetto gli rimane estraneo e come tale esige da lui valutazioni di ordine etico.

Chi si scatta un “selfie” non la vede così e mai la vedrà così: per lui il mondo non è altro che uno sfondo a disposizione del suo io. E dunque panorami, viaggi, cene, feste, stadi, perfino cadaveri, sono solo il fondale davanti al quale proporre sempre e comunque un solo soggetto: se stesso.

Ridotta a questo scopo di richiamo decorativo, di presenza ammiccante, la realtà non ha più contenuto e quindi non solleva alcuna questione di rispetto e di opportunità. Sparisce, nascosta dietro quegli ego così smisurati da rifiutare il confronto con ogni cosa umana e trascendente, gonfi al punto da diventare grotteschi e, in ultima analisi, insignificanti.

3 pensieri su “I DEMENTI DEL SELFIE

  1. Fiorenzo Alessi dice:

    Egr. dott. Mario Schiani,
    parole di saggezza, le sue.
    Tutto vero, sconfinatamente ma anche sconsolatamente condivisibile .
    Con i tempi che corrono (e le circostanze pandemiche non c’entrano proprio nulla) , esigere “… VALUTAZIONI DI ORDINE ETICO..” è un po’ come chiedere ad un elefante un triplo salto carpiato.
    E mi scuserà l’elefante di questo accostamento a quell’animale che sempre più spesso si ritrova ad essere l’uomo.
    Cordialmente.
    FIORENZO ALESSI

  2. giz dice:

    Tante belle parole…ma prime delle parole campeggiano e troneggiano comunque le foto selfie accanto al cadavere di Maradona…perché sensale foto a far da tiro forse chi avrebbe letto quello che avevate da dire?!?

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