HONG KONG: LIBRI VIETATI, MA NON VI DICIAMO QUALI ALTRIMENTI LI LEGGETE

Portar via la libertà alla gente, bisogna riconoscerlo, non è un lavoro facile. Molti pensano che sia sufficiente fare la voce grossa, brandire un manganello e far tintinnare le manette. Nossignori, ci vuole di più, molto di più: occorre un supremo sprezzo del ridicolo.

Prendiamo a esempio quanto accaduto di recente a Hong Kong. Il governo della Regione autonoma (sempre meno) della Repubblica popolare cinese ha pensato bene che certa letteratura sediziosa dovesse sparire dagli scaffali delle biblioteche pubbliche. Tutta robaccia anti-governativa, presumiamo. Ci tocca proprio presumere, perché non sappiamo quali sono i libri che dovranno essere rimossi. L’organismo governativo competente (il Leisure and Cultural services Department – Lcsd) si è rifiutato di rendere pubblica la lista dei titoli banditi, nonostante sia stata richiesta formalmente da un consigliere legislativo, ovvero un membro di quella assemblea della città che, oltre ad avere poteri limitati, è accessibile per via elettiva solo da candidati preselezionati e di sicuro “patriottismo”. Il patriottismo di Priscilla Leung, il consigliere che ha presentato la domanda per ottenere la lista, non è stato però sufficiente perché la sua richiesta venisse soddisfatta. Il motivo: “La pubblicazione della lista potrebbe condurre a una più ampia circolazione con intento malizioso di tale materiale librario”. Come dire: “Non vi diciamo quali sono i libri proibiti altrimenti voi li leggete”.

Ogni burocrate-censore prima o poi viene a confrontarsi con l’intrinseca ridicolaggine (ancorché tragica) della sua azione, ovvero del suo sforzo di cancellare i pensieri, le idee, e non solo le azioni. Oggi nel ridicolo sono finiti i solerti membri del Lcsd i quali, bisogna dirlo, hanno inciampato in un meccanismo rivelatorio della psicologia umana: ciò che è proibito suscita curiosità. Un tempo, la fascetta di carta con la scritta “V. M. 18” apposta sulle locandine davanti al cinema moltiplicava l’interesse del film proiettato in sala, specie in chi era troppo giovane per presentarsi alla cassa. Nel caso di Hong Kong, però, c’è di più: la motivazione dietro la quale il Lcsd si è riparato nel rifiutarsi di produrre la lista richiesta denuncia in sé la paura che le autorità hanno dell’indipendenza mentale della gente, tradisce la consapevolezza di quanto poco rispettato sia il governo, risagomato nelle sue competenze e nei suoi membri dalla stretta autoritaria imposta da Pechino. L’ipotesi che i cittadini di Hong Kong correrebbero a leggere i libri sgraditi al loro governo se solo sapessero quali sono, dice tutto e di più.

Noi, intanto, sappiamo per certo i titoli di due libri vietati. Non perché siano filtrati dalla lista, ma per la ragione che hanno portato all’arresto di cinque persone. Si tratta di testi per bambini: “Guardiani del villaggio delle pecore” e “I 12 guerrieri del villaggio delle pecore”. L’accusa che, se confermata, porterebbe i cinque responsabili delle pubblicazioni in carcere per due anni, è di aver tentato di inquinare le menti dei bambini paragonando le pecore alla popolazione di Hong Kong e i lupi alle autorità cinesi. Il riferimento ai “12 guerrieri” alluderebbe ai 12 attivisti democratici arrestati tempo fa mentre tentavano di lasciare Hong Kong per Taiwan a bordo di un motoscafo.

Ci sono pochi dubbi che le storielle raccontate nei due libri sottintendano alla situazione politica e sociale della città, ma, ancora più dei libri, è l’arresto dei cinque autori a mettere in luce, una volta di più e con chiarezza infinitamente superiore, chi sono e cosa fanno i “lupi” e chi sono e cosa subiscono le “pecore”.

 

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