Io sono un animale assolutamente impolitico: se è vero che la politica è l’arte del compromesso, io sono antropologicamente estraneo alla faccenda. Non so mediare, mi fido di tutti, sono permaloso: insomma, a meno che non fossi un capriccioso monarca, il mio apporto alla vita pubblica sarebbe nullo.
Ciò nonostante, con una certa dose di incoscienza, il sindaco di un ridente paese della Bergamasca pedecollinare, ha deciso, un anno e mezzo fa, di offrirmi l’incarico di assessore alla cultura nella sua giunta. Oggi, quell’esperienza è arrivata al termine: di comune accordo, abbiamo deciso che la cosa non funzionava e che le mie varie attività professionali m’impedivano di svolgere le mie mansioni con la dovuta assiduità.
Però, non è detto che non sia stato utile: per me, lo è stato certamente, perché, dopo anni e anni di articoli in cui mi sono scagliato contro il mondo della politica, ignorandone la quintessenza empirica, adesso posso darne un giudizio un tantino meno campato in aria. Come dire che, ora, so perché non mi sono mai occupato di queste cose. Senza contare che la mia, diciamo così, ascesa e la mia caduta hanno scoperchiato un discreto verminaio, tanto dalla parte dei miei supposti avversari che da quella dei miei, ancor più supposti, correligionari.
E partiamo di qui: correligionari un par di ciufoli! Dietro la mia nomina e, soprattutto, dietro la mia destituzione, si sono mossi, a vario titolo, capetti e capitani del centrodestra locale. E perfino qualche politicante nazionale. Il che significa che perfino una carica, tutto sommato, irrilevante come quella di assessore in un paesino, è soggetta a pressioni e a calcoli percentuali da manuale Cencelli: cosa che, da bravo fesso, non avrei mai immaginato.
Quanto all’attività di assessore, mai avrei pensato che potesse essere tanto impegnativa: io m’immaginavo una sorta di supervisione progettuale, di libera invenzione. Sì, vai, vai! Giunte chilometriche, quasi tutte dedicate a materie di pratica applicazione: lavori pubblici, bilancio, servizi sociali. La cultura, di fatto, spesso si limita ad attività di comitati o al patrocinio ad attività più o meno consolidate, mentre l’istruzione si occupa, prevalentemente, di mense, trasporti, riscaldamento. Io, ve lo confesso, me lo immaginavo diverso il mestiere di un assessore.
Bene ha fatto il sindaco a scindere in due diversi assessorati il mio incarico e a destinarli a due giovani provenienti dal territorio: io sono bergamasco, ma tutte le sfumature, tutte le facce, tutte le attività di un paese mica le posso conoscere. Avete presente il topo di campagna e quello di città? Ecco, più o meno è andata così. Va da sé che, dietro ai due neoassessori, cui vanno, ovviamente, le mie congratulazioni, si sono mosse forze superne. Le stesse che si sono affrettate a sganciarmi, quando è risultato chiaro che avrei mollato il colpo. E nemmeno troppo elegantemente, devo confessarvi. Ma questa, probabilmente, è la politica: sangue e merda, secondo Rino Formica. Io non arrivo a tanto, ma me ne torno al mio cantuccio, senza troppi rimpianti.
Comunque, prima di dire male degli amministratori pubblici, vorrei che sapeste questo: farlo è faticoso. E’ un’attività che, per quanto mossi dai più nobili ideali, deve tener conto di mille noiose incombenze, di mille laccioli e di un milione di esigenze diverse. Senza contare l’opposizione. O, meglio, certa opposizione. Nel mio caso, ad esempio, c’era un’opposizione, chiamiamola così, parlamentare, che ho sempre trovato ragionevole, sebbene comprensibilmente guardinga e un po’ pedante. C’era poi un’altra opposizione: quella degli ultras, estromessi dal voto dai ludi conciliari e, perciò, notevolmente invelenita. Questi quattro simpaticoni hanno, ovviamente, brindato per le mie dimissioni, che avevano già chiesto una prima volta, accusandomi di sessismo, quando avevo scritto che fischiare a una ragazza, da parte degli alpini, non si poteva paragonare a uno stupro. Ora, però, mi hanno accusato di essere inadeguato, che, considerando i loro titoli, sarebbe, più o meno, come se io definissi inadeguato, nel suo campo, un premio Nobel. Ma non mi aspettavo altro da questa gente e ci ho fatto una risata sopra.
Quel che non mi sarei aspettato, lo ripeto, è l’atteggiamento di certi presunti sodali: una bella lezioncina per il futuro, quando, sicuramente, verrò loro utile per qualche cosa.
Dunque, in definitiva, questo mi ha insegnato la mia breve escursione nella politica: a essere più politico, in un certo senso. Ma, siccome so già che io politico non lo sarò mai, farò mia la massima che mi ripeteva sempre mio nonno Siro, vecchio socialista turatiano. Dai partìti pàrtiti! E così sia.