HANNO SCOPERTO CHE MORIREMO DI VECCHIAIA NEI MEETING

Nel mondo delle aziende qualcuno si è svegliato dal letargo e sta proponendo il nuovo modello “zero meeting”, dopo le scorpacciate virtuali di interminabili video call al computer con mezzo mondo collegato, causa Covid.

La classica goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma il tema è vecchio quanto Mosè. Da sempre si discute su come ottimizzare le riunioni, alle quali partecipano troppe persone per un mucchio di tempo e, spesso, se ne viene fuori con le idee più confuse. Rubando un paio di battute al grande Artur Bloch, umorista e scrittore americano, che ha inventato le “leggi di Murphy”, ricordiamo che “se un problema causa molte riunioni, alla lunga le riunioni diventeranno più importanti del problema”, oppure “un meeting è un evento di cui si tengono le minute e si perdono le ore”. Nel mio ufficio ho diversi quadretti appesi di questo tenore, sono il mio portafortuna e servono a sdrammatizzare.

Dentro c’è un essenza di verità. Ne ho viste di tutti i colori a proposito di riunioni, così come ho contribuito nel cercare disperatamente di migliorarne l’efficienza. Ci ho provato con la disciplina che prescrive di chiarire prima il perché ci si vede, preparare un’agenda completa con la durata, invitare solo le persone che possono servire, inviare prima documenti esaustivi per non arrivare impreparati, dichiarare l’esito finale e i prossimi passi. Insomma, ricette varie ce ne sono in giro, però ho visto solo un piccolo sforzo iniziale per la novità, ma poi la marea dell’abitudine e il comportamento generalmente anarchico di noi italiani (in particolare) hanno preso il sopravvento e si è tornati al punto di partenza. Anche l’idea di ridurle di numero funziona così e così, perché sostengo da sempre che sia meglio una riunione intensa, piuttosto che inseguirsi nei corridoi con possibilità illimitata di libere interpretazioni dei fatti, questa sì una vera iattura: boccio, quindi, la proposta dello zero meeting, troppo velleitaria. Si è tentato anche (questa è una pensata extra Italia) di fare riunioni in piedi o “standing meeting” senza sedie, per accelerare decisioni e conclusioni: fallimento completo, la gente non ha capito e si è favorito solo un principio pericoloso di vene varicose.

Sempre all’estero – si spacciano sempre per quelli efficienti e frugali – non va molto meglio, garantisco per frequentazione diretta. Di veramente diverso c’è che viene compilata formalmente e certosinamente una “action list” piena di attività. Problema risolto, efficienza raggiunta? Manco per niente, perché sovente la gente è costretta a dichiarare per forza qualcosa. Una volta, nel bel mezzo di un concitato meeting internazionale di alto livello, mi è stato sollecitato proprio una cosa del genere, “What is your proposal on that subject?” (qual è la sua proposta su quel tema?). Domanda anche lecita, ma talvolta, cari colleghi, e soprattutto per situazioni complesse, non c’è una soluzione immediata. Col mio fare suadente italiano ho provato a dire che la questione meritava qualche giorno di riflessione e che avrei dato risposte affidabili di lì a poco. Vedendo la giugulare del grande capo gonfiarsi, ho pensato bene di ratificare la frasetta di rito alla bell’è meglio per accontentare gli astanti. No buono, perchè così si comincia a fingere.

L’ultima idea che ho avuto di recente è stata inventare un “meeting senza agenda”. Si va a braccio, parlando solo delle urgenze, senza essere pressati da troppi punti e dover fare una rassegna noiosa. Piuttosto spiazzante, però i primi tentativi sono positivi. La gente ha apprezzato il senso di libertà e la possibilità di poter gestire il tempo, esprimendosi liberamente. Non si può fare in modo permanente, ma piazzarne qualcuna al momento giusto ha senso. Naufragherà come tutte le altre volte? Non lo so, però credo in una ricetta che ridia la parola alle persone e spazio alle vere discussioni.

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