di GIORGIO GANDOLA – Persona offesa. La formula da codice penale dice persino poco del dolore, delle lacrime, della paura che percorsero Bergamo in marzo e aprile quando il virus cinese aggredì alle spalle una città, una provincia e la sua gente. Gente tosta, abituata a non mollare mai e a non piangersi addosso; per questo il rosario delle bare, la trincea degli ospedali e i camion militari sembrarono al resto d’Italia il segnale di qualcosa di terribile, di imbattibile. E come “persona offesa” si è costituito il Comune di Bergamo nell’inchiesta per epidemia colposa aperta dalla Procura contro le istituzioni nazionali e regionali. Tecnicamente è il modo per potersi costituire parte civile in un possibile processo. Per chi si è perso qualche puntata, i filoni d’inchiesta sono tre: la mancata zona rossa a Nembro e Alzano, i numerosi morti nelle Rsa, la chiusura e la riapertura dell’ospedale di Alzano. Insomma la gestione iniziale del contagio. In realtà la scelta non sarebbe proprio “scevra”, come dice il sindaco, da valutazioni politiche, perché i pm finora hanno sentito il premier Conte, il ministro Speranza, il governatore Fontana e l’assessore regionale Gallera, nessuno dei quali appartiene al partito di Gori. Inoltre c’è un aspetto singolare ed è proprio il ruolo della “persona offesa” Giorgio Gori. Se nel suo ruolo istituzionale di rappresentanza dei cittadini di Bergamo la posizione è legittima, diventa più complessa quella personale. Perché nessuno riesce a dimenticare che fu lui a metà febbraio, mentre l’epidemia si insinuava velocemente fra la gente, a portare mezza giunta a pranzo nel ristorante cinese San Ja, accompagnando il gesto con la dichiarazione: “Non si giustifica l’allarmismo che ha portato molti italiani a evitare contatti con i cinesi che vivono qui. Il danno rischia di essere rilevante”. Fu ancora lui a fine febbraio a supportare l’iniziativa #Bergamononsiferma di industriali e commercianti in un appello su Facebook, con foto in pizzeria “Da Mimmo”, nel quale scriveva: “Le notizie sulla diffusione del virus e le prescrizioni hanno generato un clima di preoccupazione che è andato molto al di là del necessario. Io credo sia giusto seguire le indicazioni (del governo, della regione, dai quali oggi si sente persona offesa – ndr) ma al tempo stesso dobbiamo andare avanti con intelligenza e buonsenso, senza allarmismi. Sono convinto che un virus non fermerà Bergamo, né oggi né in futuro”. Ogni commento è superfluo, infatti il comitato dei parenti delle vittime “Noi denunceremo” non ha preso bene il salto sul carro. Il fondatore Luca Fusco è lapidario: “Non mi aspettavo questa uscita dopo quattro mesi di silenzio. Mi sembra una manovra elettorale. La responsabilità di Gori nelle prime fasi della pandemia è innegabile, un peccato originale difficile da cancellare”. Fu ancora il Comune, poco prima del lockdown e con i contagi in via di moltiplicazione, a incentivare lo shopping e la movida in Città Alta, consentendo all’azienda trasporti Atb di adottare il biglietto unico dei bus per l’intera giornata. Ecco perché nel chiamarsi fuori del sindaco rispetto “all’eccezionale impatto della pandemia” c’è qualcosa di straniante. Sembra una fuga dalle responsabilità politiche e morali, che pesano anche di più rispetto a quelle giudiziarie ancora presunte. Ecco perché risulta stridente quel ruolo da Giano bifronte che Gori si ritaglia come se fosse un difensore civico davanti a una città preda di un’amnesia collettiva. C’è qualcosa di nebbioso e di bipolare, come giocare a scacchi pretendendo di muovere sia il bianco sia il nero a seconda della convenienza. È strano che il sindaco non avverta imbarazzo, quello che buona parte della “città martire” coglie mentre legge la notizia.
A rappresentare le persone offese è il sindaco Giorgio Gori, che ha spiegato così la decisione: “Un passo che facciamo nell’interesse dei cittadini e che crediamo sia giustificato e necessario visto l’eccezionale impatto della pandemia a Bergamo, con un numero di vittime e di letalità molto al di sopra degli indicatori nazionali”. Il primo cittadino tiene a sottolineare che “la nostra decisione è scevra da valutazioni politiche di ogni tipo e non vuole puntare il dito contro nessuno”.
Egr. Dott. Giorgio GANDOLA,
Lascio da parte il “diritto“.
Potrei agevolmente farne uso , ma mi limito al “fatto”, come lei lo rappresenta in maniera chiara ed inequivocabile.
Per usare un vocabolo che reputo appropriato alla condotta del citato primo cittadino , dico solo …deprecabile.
Il punto è che vanno date la giusta rilevanza ed adeguate garanzie alla PERSONA offesa (come purtroppo non avviene nel nostro ordinamento processual penalistico) , quando davvero tale qualità processuale è legittima e fondata.
Qui vedo molto fumo e ben poco arrosto.
Forse, e dico forse, occorreva ESSERE anche persona intelligente per determinarsi a rivendicare , poi , la QUALIFICA anche di persona offesa.
Ma non facciamo le pulci , adducendo , tra le altre, banali questioni di opportunità.
“…Visto l’eccezionale IMPATTO della pandemia a Bergamo..” non stiamo qui a sottilizzare se proprio lo “offeso” in questione parrebbe averla pur data una spintarella.
Cordialmente.
Fiorenzo Alessi