GIUSTO PRESIDENTE, BASTA CON QUESTO INGLISC

Mario Draghi visita il centro vaccinale di Fiumicino: “Chissà perchè tutte queste parole inglesi?”

di CRISTIANO GATTI – Bella domanda, signor presidente. Già: perchè baby-sitting e smart-working, perchè ricorrere continuamente all’inglese, perchè più l’Italia va avanti e più gli italiani vogliono esibire la loro emancipazione, la loro evoluzione, la loro modernizzazione a suon di maccheronici inglesismi?

Le fa decisamente onore, caro presidente Draghi, che sia proprio uno come lei, costretto e stretto nell’inglese da esigenze di lavoro, a mostrare apertamente in pubblico – visitando un centro vaccini romano – chiari segni di insofferenza e di ribellione. Non contro una lingua comunque nobile, rispettabile e in tanti casi necessaria, ma per il conformismo idiota del branco di accreditarsi con chissà quali crediti sparando in continuazione lo slang di moda. Lo fanno in economia, lo fanno nelle telecronache sportive, lo fanno i bocconiani e lo fanno quelli che incespicano da una vita nell’italiano basico. Lo fanno tutti, a testa bassa, uniformandosi, e come sempre con la dannata paura di non essere all’altezza se non ci si adegua.

Grazie presidente, bravo presidente. Per la verità arriva abbastanza tardi, in tanti già hanno sollevato il problema, penso a quei disperati della Crusca e a certi valorosi insegnanti nelle nostre scuole, poveri eretici derisi, ma questo non toglie che il suo garbato sbrocco sia comunque carico di significato.

Dopo tutto, la risposta alla sua accorata domanda è in apparenza molto semplice: usiamo sempre di più parole inglesi perchè non poteva finire diversamente, dopo il trionfale arrivo della globalizzazione, che con modi tirannici ha imposto in tutto il mondo consumatori che consumano le stesse cose, mangiano le stesse cose, pensano le stesse cose. E naturalmente parlano la stessa lingua.

Ma chiaramente non è questo che intendiamo noi della penosa resistenza linguistica. Nessuno ha niente da ridire se per comprenderci con uno straniero usiamo una lingua nota a tutti. Così sul lavoro, così in viaggio di piacere.

La piaga è un’altra, è quando usiamo tutti questi termini tra di noi. Il fenomeno non è neppure nuovo: ogni epoca si è ritrovata i suoi neologismi english, io ricordo ad esempio il long-playing, che nessuno all’epoca si sognava di chiamare 33 giri. Di più: ci sono termini che nessuna traduzione nostra può eguagliare, pensiamo solo all’onomatopeico rock’n roll, tale è nato e tale deve restare, guai a chi immaginasse soltanto di declinarlo a modo nostro, così davvero scadremmo nella farsetta di Mussolini e della sua patetica ossessione lessicale.

No, è di altro che si parla. E’ di altro che lei stesso presidente Draghi ha inteso parlare. Cioè dell’uso smodato e inutile di termini astrusi anche tra noi italiani, parlando di cose italianissime. L’elenco è sterminato, mi viene in mente che ultimamente chi aiuta le persone fragili si è ritrovato a diventare caregiver, e lei mi dica dove sta il vantaggio.

Se lei permette, però, io proporrei il caso più tragico, certo dal mio punto di vista: story-telling. Davvero: abbiamo da secoli un termine bellissimo, racconto, una parola semplice e lineare che evoca mondi immensi e sconfinati, il mondo della fantasia e dell’immaginazione, ma anche della comunicazione e della relazione tra le persone, perchè con un banale racconto davanti al camino, attorno al tavolo di un bar, al mare sotto un ombrellone, gli italiani alimentano da sempre, in tutte le salse, la loro ben nota umanità. E’ il racconto del nonno ai nipoti, è il racconto dell’amico che si confida, è il racconto del figlio che torna, è il racconto di una madre la sera, seduta sul bordo del letto, prima del suo bacio benedetto.

Ecco, già mi sto facendo trascinare comunque in una specie di racconto. Ma non è il momento. Tornando al tema: questo vocabolo immenso, che non ha confini di tempo e di spazio, che ha il respiro della vita, noi ultimamente l’abbiamo messo in solaio per far posto allo story-telling. Mi aspetto che presto qualcuno cambierà anche i titoli dei grandi libri, i “Racconti di Pietroburgo” del geniale Gogol diventeranno “Story-telling di Pietroburgo”. C’è gente che organizza corsi di scrittura presentandoli come corsi di story-telling, per me il massimo della stupidità, perchè in quei corsi più che altrove si dovrebbe prendere dimestichezza con la lingua madre, l’italiano dei padri. Con la nobile e inafferrabile arte del racconto, non con lo story-telling degli scrittoroni snob.

Ma questi sono i tempi. Questo è il costume. Questa l’Italia che tira lo sciacquone sulla sua lingua stupenda. Allora benvenuto a lei, presidente chiamato premier, che dall’alto del suo ruolo e della sua storia molto all’inglese si ribella alla decadenza generale. Certo si carica di un altro bel peso. Già deve salvare l’Italia, adesso si prende la briga di salvare pure l’italiano. Detto tra noi, sinceramente: non so cosa sia più facile.

2 pensieri su “GIUSTO PRESIDENTE, BASTA CON QUESTO INGLISC

  1. Fiorenzo Alessi dice:

    Egr.Dott. Cristiano Gatti,
    Lei è di una chiarezza ammirevole e, per me, esemplare. Non è una sviolinata, è ciò che penso.
    E’ chiaro, tra l’altro, perché parla e scrive in italiano a chi italiano dovrebbe esserlo , almeno per i natali .
    Ora apprendo che anche il Presidente Draghi ha questa buona abitudine. Motivo di stima in più per un uomo chiamato a…dirigere l’orchestra del Bel Paese con questi chiari di luna .
    Resta il fatto che , personalmente, non seguo le mode , ma ciò che il mio cervello , pur nella limitatezza di cui sono stato comunque beneficiato dal Padreterno , mi dice che sia meritevole di apprezzamento . Soprattutto esprimendomi affinchè, come diceva un tale che la sapeva lunga , “….comprenda ciò di cui parli non solo il Prefetto, ma anche la domestica del Prefetto .”.
    Non mi pare poi così difficile , o fuor di luogo.
    A meno che, come ritmava simpaticamente Fred Buscaglione , “…. tu vo’ fa l’americano…ma si nato in Italy…”.
    Cordialmente.
    Fiorenzo Alessi

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