GIU’ LE MANI DALL’ETA’ BAMBINA

di MICAELA UCCHIELLI  (psicologa psicoterapeuta) – Nessuno può sorvolare tanto in fretta sulla storia di Palermo. Morire. A 10 anni. Morire per una sfida, un gioco pericoloso sul filo della morte. Quella con cui gli adolescenti flirtano continuamente, alla ricerca di un limite verso il quale la tacca si sposta sempre un po’ più in là.

Nuovi riti di iniziazione infestano i social e catturano un numero sempre maggiore di giovani, attratti proprio dal rischio, attratti come Ulisse dal canto delle Sirene.

Solo che Ulisse era un adulto e soprattutto non era solo.

Antonella invece non era adulta e nemmeno adolescente, Antonella era una bambina. Una bambina tutta sola attirata da una sfida che le ha tolto la vita.

Penso che a 10 anni si dovrebbe avere il diritto di essere bambine. La mia fantasia recupera ricordi della piccola che sono stata, e immagino ancora che le bambine in bagno ci vadano per fare il bagnetto alle proprie bambole. Immagino che, aprendo la porta, la madre trovi acqua sparsa ovunque e brontoli anche un po’, ma proprio non riesco a immaginare che si offra al suo sguardo lo scenario tragico della figlia priva di sensi, con la cintura dell’accappatoio stretta intorno al collo.

Non sono contro i social, non remo controvento, né sono una nostalgica delle vecchie cabine telefoniche a gettoni. Sono però per farne un uso buono e responsabile, quello che gli adulti stessi faticano ad avere coi loro smartphone.

Penso dunque che un bambino non sia in grado di assumersi questa responsabilità e che non possa andare solo a passeggio nella giungla del web, lontano dallo sguardo vigile di un adulto.

Forse basterebbe domandarci se lasceremmo nostro figlio a nuotare solo lontano dalla riva, verso il largo, dietro gli scogli, perché ci fidiamo di lui.

I bambini hanno bisogno di imparare a fare da soli, non di essere lasciati soli. Hanno bisogno di essere aiutati a distinguere il bene dal male, il pericolo dal gioco.

E allora pensando a TikTok a me viene in mente piuttosto: toc toc! Dove sono finiti gli adulti? Quelli ancora capaci svolgere il loro ruolo educativo, che consiste anche nel dire no. O dire ai propri figli bambini ad esempio che non è ancora il momento di avere profili social perché hanno diritto al tempo dell’infanzia, quel tempo in cui non si ammicca sul web e non si gioca con la vita, perché la vita la si vive davvero. Con gli amici reali, quelli in carne e ossa, al parco, in piazza, in strada, al mare. Dove la sfida a chi corre più forte al massimo finisce sbucciandosi le ginocchia.

Dove sono finiti i genitori che sanno dire: aspetta. Non ancora. Non adesso. Fra qualche anno. Quelli che non temono di essere meno amati dai loro figli imponendo rinunce e una quota buona di frustrazione. Quelli che non spiegano tutto, non assolvono tutto, e non si giustificano balbettando. A volte, alle proteste dei bambini, basterebbe anche solo rispondere: perché lo dicono mamma e papà.

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