GIGI, “CCCITUA”

di TONY DAMASCELLI – Puoi recitare Shakespeare e interpretare Molière, passare da Brecht a Sofocle, ma oggi le fotografie e i ricordi lo celebrano con il ghigno di Bruno Mandrake Fioretti in “Febbre da Cavallo”, film cardine di Carlo Vanzina, ovviamente snobbata e disprezzata dai saccenti critici cinematografici.

E così Luigi Gigi Proietti ha concluso la sua commedia lunga ottant’anni, ottanta precisi precisi, nel giorno del suo compleanno, guarda caso come Shakespeare. Ottant’anni tutti di arte, tenuto conto che, come accade per moltissimi artisti, la sua carriera principiò da infante suonando strumenti vari, chitarra e fisarmonica o addirittura il contrabbasso che sicuramente lo nascondeva ai più.

La bazza di Proietti lo assomigliava a Petrolini, dunque l’ironia e l’astuzia scenica, il mento preannunciava una smorfia sulla bocca, un “cccitua” che, guarda un po’ le combinazioni, lo hanno atteso proprio il giorno dei defunti, lo stesso del suo compleanno.

Così debbono morire i grandi attori, una coincidenza che fa parte di un copione non scritto ma di certo immaginato, una beffa attesa, una pernacchia finale mentre cala il sipario su una vita bella ma, stranamente, molto, forse troppo, romana.

Come accadde con Alberto Sordi, altra icona di una città, di una lingua e di un linguaggio che è il sottotitolo della capitale. Proietti ha studiato l’arte e poi l’ha insegnata in un un laboratorio di esercitazioni sceniche, l’affabulazione ha fatto parte della sua forza interpretativa e di relazione con il pubblico, gli occhi erano riflettori accesi anche in pieno giorno, e così una battuta del prestigiatore impiastro, una frase che è diventata il titolo della commedia “A me gli occhi, please”.

Ora quegli occhi sono chiusi ma non del tutto, credo, perché di Proietti si è arrestato il cuore, ma continua a battere la memoria di un guitto e poi attore e poi cantante e poi maestro di parole.

Un giorno disse: “Potrei esserti amico in un minuto, ma se nun sai ride mi allontano. Chi non sa ride, mi insospettisce”.

Poche lacrime, allora, e applausi forti per Mandrake: ”Io anderò al Polo Nord ma tu devi annà a fanc…”.

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