GAME OVER

di CRISTIANO GATTI – C’è tutto un territorio sotto choc. E’ lo stesso del primo Covid, ma stavolta per ragioni un po’ (!) diverse: il Gasp e il Papu, architetto e impresario della miracolosa Atalanta di Champions, cinque anni da raccontare alle prossime generazioni, sono ai ferri corti. Meglio: corti o lunghi, i ferri se li tirano sulla capoccia, in tutti i sensi e in tutti i modi. L’origine – la goccia che – è una lite feroce nell’intervallo della partita con i danesi del Midtjylland, accesa per ragioni di strategia tattica – non condivisa – sulla posizione in campo del Papu. Partendo da qui, un po’ più a sinistra, un po’ più al centro, cinque metri avanti, cinque metri indietro, si racconta di un esito a spintoni, anche se qualcuno come sempre parla di cazzotti in piena regola.

Esiti del match a parte, da quel giorno il genialoide creativo della Papu-dance e del gioco d’attacco più divertente dell’anno si è visto spostato estremanente in là, oltre la fascia, direttamente in panchina. Con una piva però nettamente più lunga delle scarpe.

A seguire, gli stracci che volano e che sempre di più arrivano fuori dalle mura di casa, dove persino l’atavica propensione dei bergamaschi a tenere tutto nascosto non riesce a chiuderli. Il Gasp rivendica le prerogative del capo, anche perchè in definitiva se le cose girano male il primo che salta è l’allenatore. Comunque, per quanto ricorra ad acrobazie verbali di alta scuola sabauda (è pur sempre di Grugliasco), il suo pensiero è (abbastanza) chiaro: “Gomez è un grandissimo campione, ma attualmente il suo impiego rende le cose complicate, servono disponibilità e fiducia, non so come finirà, anche perchè le decisioni pesanti spettano alla società”. Tradotto in lingua corrente: “Comando io, il Papu gioca dove dico io, siccome non gli va, allora si accomoda in panchina, e comunque ormai siamo alla rottura, tocca alla società accompagnarlo alla porta”.

Quanto all’idolo infranto, ricorre al criptico di Instagram per lanciare la sua versione: “Quando me ne andrò, si saprà la verità”. Tradotto in lingua corrente: “E’ finita, ciao Bergamo, adesso me ne sto buono ancora qualche settimana per avere quanto mi spetta e trovarmi un’altra squadra, poi racconterò io chi è il signor Gasperini”.

Dopo tutto, lo choc di tanti bergamaschi è comprensibile. In coppia, questi due hanno pur sempre regalato le felicità e le consolazioni (nei mesi cupi) più psichedeliche della storia nerazzurra. Un matrimonio tutto al superlativo. Dunque, tanta la tristezza davanti a una simile coppia che scoppia e schizza schegge nell’universo. Alcuni, quelli del tifo più esistenziale e metafisico, ne stanno facendo una malattia. Vivono questa lite, questa fine, come un crak totale e irrisolvibile. Come se a un certo punto apprendessero che la Madonna sta portando le carte dall’avvocato per separarsi da San Giuseppe. Questo, senza esagerare, il vissuto in certi ambienti. Tutti tirano fuori dai bauli del buonsenso e dei buoni sentimenti l’idea di una riconciliazione catartica, che spazzi via tutte le ruggini e i malintesi, riportando nella favola il clima del Mulino Bianco assaporato sin qui. Ma sono speranze infantili. Proiezioni in automatico.

La verità è che niente è per sempre. Neppure la storia magnifica dell’Atalanta. Tanto meno l’idillio tra il Gasp e il suo Papu. A un certo punto, l’amato più amato arriva a noia e non si riesce più a guardarlo neanche in fotografia. Come in certi matrimoni, si vive con orrore l’ora del suo rientro e quando arriva non si vede l’ora che si levi dalle scatole.

Per questo, tra tante voci e parecchie fesserie, tipo quella delle dimissioni del Gasp subito dopo la vittoria sull’Ajax, in mezzo a questo polverone e a tante facce smorte, l’unica certezza che tiene è proprio la più cruda: non c’è più niente da aggiustare. E conviene a tutti che si separino. Non è una buona idea rimetterli assieme in qualche modo. Nemmeno col Bostik. Bisogna farsene una ragione: il gioco è finito. Game Over. Tutto sta a vedere, tra i due, chi starà meglio senza chi.

Un pensiero su “GAME OVER

  1. giacomo dice:

    non è facile comandare, è difficile obbedire; andare d’accordo si può solo se si vuole. La visione personale è una qualità da stimolare ed un difetto da perdonare. Se in un gruppo si riesce …allora capita un miracolo e tutti sono felici. Non possiamo trasformarci tutti in santi ma dobbiamo tendere ad esserlo. Proviamo a far finta di niente, come con un figlio.

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