GRAVINA, IL BELL’UOMO NELLE GRANE

di TONY DAMASCELLI – È un bell’uomo. Dicesi di chi abbia un aspetto aggraziato, elegante nella postura, azzimato nel vestire e di buon repertorio culturale. Ecco, tutta questa roba qui appartiene a Gravina Gabriele, definito spesso e in modo impreciso, abruzzese, per aver vissuto a Castel di Sangro e tenendo residenza a Sulmona, ma pugliese di Castellaneta. Non è un dettaglio, questo, essendo lo stesso luogo dove Rodolfo Valentino, a proposito di uomo bello più che bell’uomo, incominciò l’avventura che lo portò a frantumare cuori e affini.

Gravina è il presidente del calcio, nel senso della federazione che raggruma tutte le società, dalla serie A all’ultima polisportiva di Codroipo o Calascibetta. Un bel mestiere ma il plebiscito, che l’ha eletto al ruolo, è un record storico che nemmeno in Bulgaria e dintorni era mai riuscito: 97,3 per cento. Gravina è uomo di finanza e di banche, il mondo del calcio di questo si sfama, i mecenati sono figure ormai cartonate e/o leggendarie. Tocca a lui prendere la decisione amletica: si gioca o non si gioca, questo è il problema.

Si gioca, lui lo vuole per urgenze contabili e sollecitazioni politico-sociali (uhmm), la gente ha fame, dunque che tornino a mangiare le brioches, pensa il presidente di tutti e di tutto. La responsabilità è enorme, non tutti sono d’accordo, c’è chi tira all’utile personale, chi fa agitare i propri trombettieri a gettone, chi aspetta in silenzio, tanto il conto in banca è saldo.

Giocare, stavolta, non è mica dar calci al pallone. Giocare significa tenere il virus fuori dagli stadi, dirgli che le porte sono chiuse e un gol libererà tutti dal male. Questo strillano i giornali, quelli sportivi ovviamente, mentre i medici, non soltanto dello sport e del calcio in questione, sono parenti, vicini e lontani, di Pilato, si lavano le mani, non per seguire le disposizioni sanitarie, ma per dirottare la decisione al Governo, alla politica.

Lo stesso fa Gravina, che è Lui Politica, ma cerca l’assist, l’appoggio, la copertura, rischiando di essere un uomo solo al comando. La logica vorrebbe che il football si allineasse alle altre discipline che hanno cancellato il calendario, così rugby, pallavolo, pallacanestro, giochi dell’Olimpiade, europei di calcio, moto e auto mondiale.

Niente da fare: la serie A, la Bundesliga, la Premier, la Liga, la Ligue 1 se ne sbattono e, come i bambini capricciosi, frignano e vogliono la palla. Gravina sta riflettendo, è uomo saggio, a differenza di altri che lo hanno preceduto zigzagando tra la lingua italiana e le battute da trivio. Alla fine, a breve, riaprirà i cancelli. Ma a un patto: che si assuma tutta la responsabilità, senza alibi. Quel 97,3 per cento è un contagio pericoloso ma deve pur significare qualcosa, oltre alla fiducia. E alla cortigianeria.

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