FUORI I PARRUCCONI DALLA SCALA, DENTRO CONTE

Paolo Conte ha suonato alla Scala, ma Paolo Conte che suona alla Scala è diventato uno scontro di pensiero. Non a tutti è garbata l’idea, a molti il cantautore astigiano su quel palco suona come un affronto.

Da un lato parrucconi e ingessati difensori della cultura alta, del tempio dove non deve entrare nemmeno uno spiffero che porti in groppa sentori della cultura popolare, dall’altro chi non vede motivi per non procedere, chi trova che sia invece un bel modo per celebrare un artista ammirato in tutto il mondo.

Paolo Conte assembla raffinati quadretti partendo dalla cultura popolare, del secolo scorso per lo più, vedute aeree che prendono spunto da un oggetto, da un luogo, da un evento, una macchina da cucire, un teatro, un ballo, una scampagnata. Le musiche vanno di pari passo, un po’ jazz, un po’ ragtime, un po’ evocative, un po’ valzer e un po’ tutto il resto dell’armamentario della musica del novecento

Canzoni belle e canzoni memorabili spesso, i francesi ne vanno matti e se i francesi vanno matti per un italiano che canta in italiano è tutto dire. Uno che può piacere agli intellettuali come agli skaters, Paolo Conte: Parigi, Beaubourg, un gruppo di ragazzi armati di skateboard piroettano eleganti sulle note di “Aguaplano” che escono dal loro lettore cd. Scena surreale, a suo modo, ma anche commovente e assolutamente vera, ne sono testimone.

Questo per dire che stiamo parlando di musica popolare, ma non esattamente dei Sex Pistols e nemmeno di Rosa Chemical.

Noi italiani però siamo così, ci piace far polemica, cultura alta di qua, cultura bassa di là. Ci piace la caciara, ci piace inneggiare ai Maneskin quando vincono premi ovunque, li difendiamo per qualsiasi nefandezza, perché portano il nome dell’Italia in giro per il mondo, e poi arriva il momento dell’ottantaseienne Paolo Conte alla Scala, la celebrazione in casa di un orgoglio nazionale, ma riusciamo a indispettirci nel più noioso e scostante dei modi.

Piero Maranghi, editore, amministratore delegato e direttore di Classica HD su Sky, è arrivato a dire che si tratta di “uno schiaffo alla storia del teatro”, di “una profanazione” e di “un precedente pericoloso”.

Con lui si schierano altre eminenze, tra cui Milena Gabanelli, contro di lui un fronte capitanato da Vittorio Sgarbi.

La polemica è davvero stantia e imbarazzante per quel che mi riguarda, figlia di quella cultura che vuole la musica classica e i teatri che la ospitano seriosi e incontaminati, a dispetto della musica che invece fa quel che vuole e fugge dove e con chi le pare, donna di malaffare per antonomasia.

Con misura, con garbo, con ragionevolezza si può ridere, scherzare, mischiare le carte e impiastricciare le tele, altro che cultura alta e bassa, si può anche ospitare Paolo Conte alla Scala e godersi lo spettacolo, con la cravatta o no, possibilmente senza pelliccia.

I parrucconi a volte dimenticano che le loro tanto amate opere liriche raccontano spesso di bassifondi, sigaraie e vite grevi, la vita del popolo insomma, dove si piange, si ride, si balla, si ricorda, proprio come nelle canzoni di Paolo Conte, le cui musiche non meritano l’ostracismo di qualche reazionario e nemmeno paiono preludere a chissà quale deriva in via Filodrammatici.

E allora concerto, come direbbe Enzo Jannacci, e concerto è stato. E al diavolo il tempio.

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