Si dividono, come nei dibattiti di politica. Il Festival riunisce gli italiani e spacca i giornalisti, fogli di destra esultano per Conti differente da Conte, fogli di sinistra scrivono di un Sanremoscio, normalizzato dal governicchio.
Storie di casa nostra, la rassegna musicale, si diceva così, si è trasformata in una colossale sagra spacciata per evento, che è tale a livello di coinvolgimento di emozioni, interessi, musica, esibizioni, un minestrone di giovanilismo rappeggiante e boomerismo da anema e core, insomma un festival nel senso antico del termine francese.
In questo teatro si inserisce un tipo stravagante, come Rosario Fiorello, Franco e Ciccio, Ficarra e Picone, viene dalla terra di Vittorini e Verga, Pirandello e Sciascia, pensate un po’ come cambiano i picciotti siciliani, perché Nino Frassica li riassume tutti, genialità assoluta, sprazzi di intelligenza acuta, spruzzi di ironia feroce, ogni parola è un off side del pensiero. Sul palcoscenico dell’Ariston, Frassica è stato come l’amico che a cena ti diverte con le battute improvvise, impreviste, senza per questo essere sguaiato e volgare. E’ una virtù della vera comicità, rara caratteristica nello zelig di parole triviali che a qualcuno servono per farsi ricordare.
A proposito, Lucarelli Selvaggia, una delle mille inviate della Rai sul sito, ha detto con estrema fierezza e l’umiltà che la contraddistingue, che non le piace la canzone di Cristicchi perché è “ampollosa e retorica”. Se volete, parlatene, ma tra di voi.