Si sapeva da giorni, ma è passato quasi inosservato che la Germania alle Olimpiadi abbia scelto per la prima volta un portabandiera di colore. Non una svolta epocale nel Vecchio Continente (l’Italia, nel 2000 a Sydney, sfilò alle spalle del cestista Carlton Myers), ma una scelta significativa in un Paese che un secolo fa propagandava le leggi razziali e la diversità fra le etnie. E che ha impiegato decenni per superare quel tipo di mentalità.
E’ in quella Germania ancora razzista e allergica a chi era ‘diverso’ che viene al mondo trent’anni fa Dennis Schroeder, oggi cestista di livello mondiale e leader della sua Nazionale. Nasce a Braunschweig, nella regione di Hannover,nel nord del Paese, da padre tedesco e mamma gambiana e cresce praticamente senza amici. ‘Ero l’unico bambino nero, mi guardavano tutti come un alieno: i primi quindici anni della mia vita li ho odiati’, ha raccontato di quel periodo. Gioca a calcio, senza successo, la sua vera passione è lo skateboard: ci passa interi pomeriggi, da solo naturalmente. Prova anche col basket, ma a causa del suo carattere chiuso e difficile viene cacciato dall’allenatore.
Curioso che a cambiare la vita delle persone sia la morte: quella del padre Axel, nel 2009, lo segna perché il giovane Dennis, rovistando tra i fogli della scrivania, trova una sua lettera. C’è l’invito ad affrontare con serietà la scuola e il basket, così potrà garantire un buon futuro alla mamma parrucchiera e ai quattro fratelli. Così Schroeder si ripresenta in palestra e chiede al coach che non lo voleva più di concedergli una seconda possibilità.
Il resto è storia, sportiva ovviamente. Prima le Nazionali giovanili, poi la seconda serie nazionale con la squadra della sua città, infine il salto dall’altra parte dell’oceano: appena ventenne, quattro anni dopo la morte del padre, Dennis sbarca in Nba, ad Atlanta, prima tappa di un viaggio che in un decennio ha toccato anche Oklahoma, Los Angeles Lakers, Boston, Houston, Toronto e infine Brooklyn.
Miglior giocatore del Mondiale che nel basket la Germania ha conquistato per la prima volta un anno fa, Schroeder ora si fregia di un titolo simbolico: è il primo portabandiera tedesco nero in 128 anni di storia dei Giochi. Un passo importante per lui, ma pure per il suo Paese, che quando ospitò i Giochi in piena era nazista, nel 1936 a Berlino, fu costretto a ‘digerire’ i trionfi di un atleta di colore, lo statunitense Jesse Owens, che vinse quattro ori. Si raccontò che Hitler, indignato, lasciò lo stadio in anticipo rifiutandosi di stringere la mano al fenomenale velocista e saltatore americano, ma in realtà il Furher decise fin dal secondo giorno di non congratularsi con nessun atleta che non fosse tedesco, nonostante le raccomandazioni del comitato olimpico di farlo con tutti. Con Owens si limitò a un saluto a distanza e all’invio di un suo ritratto autografato, un comportamento che il campione Usa mostrò di gradire più di quello del suo presidente, Roosevelt, che non lo ricevette alla Casa Bianca nè gli telefonò per congratularsi.
‘Se non sono finito sulla cattiva strada il merito è di mio padre e del basket’, ha raccontato Dennis ogni volta che gli è stato chiesto del suo passato: se si è ritrovato sulla Senna a rappresentare un Paese che quando era piccolo gli girava le spalle lo deve proprio a loro.