FELICE PER MUSTAFA’, MA QUANTI ALTRI MUSTAFA’ RESTANO NELL’INFERNO?

L’altro giorno Cristiano Gatti ha scritto, anzi, riscritto di Mustafà, il bambino siriano giunto in Italia, con tutta la famiglia, dopo una accorata campagna di solidarietà. La storia di Mustafà, del suo papà, della sua mamma, di tutta la famiglia, ha commosso tutti e io sono qui a sottoscrivere anche le virgole di quell’articolo.

Però, ci sono mattine nelle quali uno si sveglia diavolo e avvocato, chissà se più uno o più l’altro, e un tarlo malefico ti perseguita assillante finché non te ne liberi, dando voce a pensieri controversi e discordanti.

I pensieri controversi e discordanti, e sono tali in me stesso innanzitutto, mi spingono a pormi alcune domande. Mustafà e la sua famiglia sono in Italia, avranno attenzioni e cura come è giusto che sia, come sempre dovrebbe essere anzi, ma il tormento per me è inevitabile: non fosse stato per la foto di Mehmet Aslan e per il giusto premio conseguito, quale sarebbe oggi il destino di Mustafà e della sua famiglia?

Da qui in poi, ma dall’inizio in verità, risposte non ne ho, è solo un susseguirsi di domande inevase e forse inutili. Servono una foto e un premio internazionale per avere una vita dignitosa, un risarcimento, in qualche modo, per la valanga di disgrazie che rendono tenebroso il futuro di una famiglia? O di una persona?

In verità, i sorrisi di Mustafà e del suo papà prima dell’approdo in Italia dicono che tutto quello che è scaturito da quello scatto è un sovrappiù, un bonus. Loro, inspiegabilmente, ma in modo commovente e contagioso, già avevano incastrato i pezzi e ricostruito il proprio lego dei sentimenti e delle emozioni, che vadano a farsi fottere le mine, le granate, le esplosioni e chi le governa.

Però, di nuovo, mi chiedo quale sia il destino di chi una foto del genere non l’ha mai avuta, un’esposizione mondiale nemmeno ha potuto immaginarla, con o senza gambe, con o senza braccia, con o senza forza per continuare a sorridere, comunque.

Quindi va bene, Mustafà e la sua famiglia sono per noi la luce, il faro al quale rivolgerci per mettere le cose al posto giusto, per dare alle cose il giusto valore e provare vergogna per i nostri insulsi capricci.

Mustafà inevitabilmente è diventato un simbolo, ma contemporaneamente è rimasto Mustafà , come credo sia giusto.

Perché diciamocelo, guardandoci negli occhi, con la vergogna che meritiamo in quanto uomini, per un Mustafà che può ragionevolmente sperare in una vita degna di questo nome, quanti altri Mustafà vivranno di stenti e moriranno nell’indifferenza?

La provocazione viene naturale, inevitabile, andiamo e fotografiamoli tutti.

 

 

 

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