Elegante nei gesti, nel vestire, nel parlare, non è mai parso sudare nelle sue 1500 partite, così come non è mai parso ripetere lo stesso colpo, anche solo due volte, nella stessa partita. Da appassionato, ma certamente non tecnico del tennis, lascio a colleghi più ferrati le iperboli sul giocatore. Ma da appassionato appunto, posso solo dire che ha regalato spettacolo e fantasia, ricordandomi il tennis che guardavo da giovane e abbinava l’estro, la classe, l’inventiva appunto, alla potenza che oggi è invece la prima, grande dote che serve per diventare grandi. Per vincere.
Bertolucci marca di nuovo il fatto che trascinasse sempre il pubblico dalla sua parte, senza sollecitarlo: bastava la sua danza a stregare la gente, bastavano le sue movenze dipinte come in un sofisticato fumetto. Leggero, agile, intuitivo, ma soprattutto mai un atteggiamento, una parola, un dettaglio fuori posto. Lontano comunque dall’essere un robot, anzi umanissimo e terreno. Si fece promotore di iniziative per la popopolazione colpita dallo tsunami nell’Oceano Indiano, è stato nominato ambasciatore dell’Unicef, onorando la nomina con un viaggio tra i bambini della regione indiana completamente devastata dal maremoto. In occasione della giornata mondiale dell’AIDS, nel 2007 prestò la sua immagine per una campagna televisiva volta a sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della trasmissione del virus dalle mamme ai neonati. Organizzò un evento di beneficenza, “Hit for Haiti”, per le vittime del terremoto del 2010.
Felicemente sposato e padre di due coppie di gemelli, un’immagine sobria e pulita, Federer lascia la terra battuta e il cemento, l’erba, la racchetta e la storia di questo sport, per entrare nella leggenda, dove già aveva preso posto prima dell’annuncio. Stelle come la sua non si ritirano: continuano a brillare per sempre, giocando ancora nei nostri ricordi e nei nostri cuori di semplici spettatori.