EVERGRANDE, COSA SAPERE SUL NUOVO INCUBO MONDIALE

Una gigantesca impresa di costruzioni, gigantesca quanto può esserlo un’impresa di costruzioni in Cina (due milioni di appartamenti in costruzione in 220 città), diventata poi un altrettanto gigantesco conglomerato finanziario, attivo dall’assicurativo, al previdenziale, ai media, alla finanza. Aggiungete 2 mila miliardi di Renmimbi di debito, circa 300 miliardi di dollari, 8 mila aziende fornitrici compreso l’indotto, oltre 100 mila lavoratori direttamente o indirettamente coinvolti. Numeri da far tremare i polsi: una sola azienda il cui debito è pari a quello della povera Grecia che mise a repentaglio i mercati finanziari nel 2010. Si è indebitata troppo e oggi si trova a corto di liquidità per pagare gli interessi sui debiti, figuriamoci per restituirli.

Dobbiamo preoccuparci? Quanto dobbiamo preoccuparci? Ha ragione chi teme che Evergrande sarà la nuova Lehman Brothers, la scintilla che fece detonare la crisi finanziaria del 2008? O dobbiamo credere a chi ci tranquillizza dicendo che il rischio di contagio è minimo, che le connessioni fra questa società e il resto dei mercati finanziari sono, in fondo, esigui e quindi controllabili?

La risposta è difficile perché del “Pasticcio di Evergrande” conosciamo gli ingredienti ma non la ricetta, perché il cuoco di Pechino risponde a logiche per noi imperscrutabili, o almeno difficilmente prevedibili.

Se fosse una società occidentale, assoggettata alle nostre regole e alle autorità monetarie e finanziarie del nostro sistema, potremmo dire che alla fine si tratta di un default sostenibile, magari con qualche aiutino dalla banca centrale, attraverso immissioni di liquidità, e dal governo del suo paese, con una qualche forma di nazionalizzazione più o meno surrettizia e più o meno estesa. Poi, certo, resterebbe un po’ di diffidenza degli investitori verso il settore coinvolto, soprattutto la componente immobiliare, ma dopo qualche tempo il problema potrebbe dirsi risolto.

Ma Pechino ha inventato il “socialismo di mercato”, espressione a me oscura che, alla fine, consente allo Stato di fare tutto e il contrario di tutto. A quanto sembra di intuire, ma la cautela è d’obbligo, il governo cinese cercherà di evitare le conseguenze sfavorevoli agli incolpevoli, cioè ai fornitori, ai lavoratori, agli acquirenti delle case, ma avrà un atteggiamento duro verso gli operatori finanziari. Segnalerà che non gradisce azzardi sul debito e che non si può costruire un impero industriale a leva. Con una prospettiva tutta interna: scongiurare il malcontento della sua popolazione; educare i nuovi campioni imprenditoriali, cui recentemente ha lanciato altri avvertimenti.

Basterà questo a calmare i mercati finanziari mondiali? Il sentiment prevalente dice di sì: il debito di Evergrande verso finanziatori esteri è modesto e frazionato, l’export americano verso la Cina non è così importante da minacciare la crescita (un po’ di più per l’Europa), la sbornia di record borsistici non cessa, grazie alla politica monetaria sempre più espansiva.

Già, forse il punto è proprio questo: la sbornia di record borsistici non cessa. Quando e come finirà purtroppo non lo so. Ma il destino si servirà di un accidente qualunque, di per sé non tale da giustificare astrattamente un crollo, dell’Evergrande di turno insomma, per innescare la miccia dello scoppio della bolla. Dunque, arrivederci alla prossima Evergrande.

 

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