di CRISTIANO GATTI – Dall’aria che tira, dai fermenti e dalle euforie che si respirano già nell’aria, quest’anno la festa della Liberazione non cadrà il 25 aprile, ma un giorno dopo: il 26. Come dice uno dei pensatori di riferimento di quest’epoca, Matteo Salvini, “dal 26 si tornerà finalmente a vivere”. E peccato non valga per gli oltre centomila italiani che non torneranno a vivere proprio un bel niente, perchè giacciono nell’altrove per colpa del Covid, qualcuno addirittura ancora in attesa di decorosa sepoltura.
Beati però i Salvini che riescono davvero a vivere il 26 aprile come il nuovo inizio, la palingenesi definitiva che ci rilancerà nelle beatitudini celesti della libertà assoluta. Ai più realisti, ai più scettici, ai più fifoni, non può purtroppo sfuggire l’alveare di opinioni che ronza sopra la nazione. Draghi, il numero uno, parla di “rischio calcolato”. Il virologo Galli commenta “calcolato male”. Il ministro Speranza, che si occupa della salute, prova a resistere lanciando l’ultima stampella sulla trincea della prudenza. Il suo collega Giorgetti, che si occupa di economia, gli spara una granata chiedendogli a bruciapelo “dov’è l’evidenza dei dati?”. E via con l’eterno contraddittorio.
Nei palazzi romani come nelle case italiane, convivono e lottano tra loro due partiti, questa la verità. E nessuno dei due che possa dire d’avere pienamente ragione. Perchè nessuno ce l’ha. Se una cosa abbiamo imparato in questi ultimi dodici mesi è proprio questa continua fisarmonica della nostra vita: ottimismo e pessimismo continuano ad alternarsi a un ritmo instancabile, sempre allo stesso modo.
E sempre quelle grida di sottofondo.
Quando i contagi e i morti cominciano a diminuire, le grida di disperazione degli imprenditori che gestiscono palestre e ristoranti, magari anche con qualche bomba carta davanti a Palazzo Chigi: bisogna aprire, bisogna aprire, cosa aspettate a farci riaprire.
Quando i contagi e i morti riprendono a salire, cambio di grida: arrivano dai pronto soccorso e dalle terapie intensive, con i medici e gli infermieri allo stremo delle forze: bisogna chiudere, bisogna chiudere, cosa aspettate a richiudere, avanti di questo passo non riusciremo più a curare la massa dei malati.
Tiraemolla, tiraemolla. Ormai è la postura della nostra vita sociale. Illusione e delusione, speranza e frustrazione. Un mese così e un mese cosà. Un mese su e un mese giù. Nessuno che abbia ragione, nessuno che abbia torto.
Il 26 torniamo dunque in modalità euforia. Deciso per decreto. Felicità nel ramo economia, terrore nel ramo sanità. Niente di nuovo. Una volta ciascuno, sulla cresta dell’onda.
E tutti gli altri, quelli che non hanno il dramma del ristorante chiuso o della terapia intensiva overbooking, tutti gli altri stanno confusi nel mezzo, vagando disorientati tra i due poli. Comprendono le ragioni di chi rischia la rovina, comprendono le ragioni di chi va alla guerra delle bombole d’ossigeno. Danno ragione a tutti, non danno torto a nessuno.
In ogni caso, nessuno può metterci bocca: è deciso, ricomincia la rumba. Dal 26 liberi tutti, più o meno, e poi cominciamo a contare i casi. Purtroppo, non siamo digiuni o ignoranti della materia. Sulla nostra pelle abbiamo capito benissimo come funziona la fisarmonica. La gente si farà prendere la mano, basta privazioni e sacrifici, abbiamo il diritto di rifarci con gli interessi, e con questa rivincita riprenderà a correre pure il pericolo (anche perchè, diciamocelo una buona volta, 4 milioni di vaccinati con due dosi è un numero davvero ridicolo). Qualcosa del genere, d’altra parte, stiamo vedendo in Germania, che mentre noi festeggiamo sta pensando di richiudere tutto. Ma più ancora qualcosa del genere abbiamo visto qui da noi, in Sardegna: l’Isola dei giocosi si è goduta persino la zona bianca, prove tecniche di normalità, dopo un mese era già profondo rosso.
Vediamo allora quel che succede stavolta. Stavolta è una riapertura davvero gigantesca, riaprono del tutto persino le scuole. Vediamo se anche stavolta riusciremo ad usare questa euforia talmente bene da giocarci un’altra estate.
Egr.Dott. Cristiano Gatti,
Le sue parole sono più o meno condivisibili , giusto per dare ragione a tutti e non fare torto a nessuno.
Credo sia inutile girarci intorno : tutti vorremmo tutto , essere liberi-felici-ricchi piuttosto che richiusi-poveri-tristi e magari pure malati .
Francamente, confido nel Padreterno.
Che si dia una calmata , e pensi che se ne possa aver avuto abbastanza .
Tutto sommato , visto che tra scienzatoni e sapientoni siamo più o meno dov’eravamo qualche mese fa , non costa nulla sperare che possa essere il Grande Capo a metterci una bella pezza.
Non credo sia questione di fede, e forse neppure di speranza .
Di sicuro, e per carità, non mi si parli di ritorno alla vita : quella vera, la vita che almeno io credevo fosse quotidianità, non ha nulla a che fare con quanto attualmente passa il convento. Amen.
Cordialmente.
Fiorenzo Alessi