ESISTE UN MODO GIUSTO ANCHE PER ANDARSENE

Il momento dell’addio è importante quanto quello del benvenuto. Parlo del “ciclo di vita” di un dipendente in azienda. Non è un pensiero consolidato, quasi nessuno ci fa caso, tanto ormai la frittata è fatta e il rapporto di lavoro si sta concludendo. Sbagliato. Perché come si va via lascerà un segno indelebile nella memoria e completerà la scheda virtuale di valutazione di una persona, che di solito manca dell’ultimo tassello.

In un mondo vorticoso e pieno di imprevisti, in cui la longevità aziendale non è più tra i valori al top, non è raro che si creino le occasioni di rientro. Non esiste più il posto della vita. Capita che una persona colga una bella opportunità in un altro contesto e poi la voglia capitalizzare nell’azienda che ha lasciato. Personalmente sono sempre un po’ scettico sulle “candidature riscaldate”, ma la mia è una questione di età e di educazione. Mi sono ricreduto nel tempo e la realtà mi ha convinto che la capacità darwiniana di adattamento a una società che muta in continuazione sia determinante per stare al passo con i tempi. In questo contesto fluido, i comportamenti delle persone vanno valutati fino all’ultimo istante, proprio quello dei saluti.

L’essenza di una buona prestazione è aver compiuto un percorso indipendentemente dalla durata – anche se prediligo la mia regola aurea che sotto i tre anni non si può dire di aver compiuto una vera esperienza -, in cui il dipendente e la società abbiano creato insieme valore aggiunto. Con il massimo delle energie e della trasparenza. Meglio rapporti (relativamente) brevi e produttivi piuttosto che lunghe permanenze senza più stimoli da ambo le parti. I benvenuto e gli addi si fanno sempre più frequenti, quindi. Attenzione al modo di uscita.

Chi non dà il preavviso giusto, almeno un mese, sbaglia. Chi si affretta a rassettare la scrivania e non fa i corretti passaggi di consegne sbaglia. Chi non trova il tempo per salutare bene i colleghi e i capi sbaglia. Chi dà l’idea che sia una fuga sbaglia. Chi eccede nel volere a tutti i costi comprensione per la sua scelta sbaglia. Chi non ringrazia sbaglia. Ci vuole equilibrio e fermezza quando si va via. Dire il perché in modo chiaro, senza falsi pentimenti. E comunque sentirsi contenti per quello che si è fatto. Stringendo mani e guardando negli occhi.

Un esempio recente. Un dipendente ha dato le dimissioni e ha insistito per salutarmi. Mi fa sempre molto piacere scambiare quattro chiacchiere anche per capire bene le motivazioni e trovare eventuali rimedi per altri casi. Questa volta, per un accavallarsi di impegni, avevo rimandato di qualche giorno. Lui non ha desistito e, con la giusta caparbietà, è riuscito a parlarmi al telefono. Sono stato con lui almeno venti minuti ed è stata una conversazione interessante per tutti e due, un tempo impiegato nel migliore dei modi. Siamo riusciti a “fissare” come un’esperienza unica per lui quella di aver passato il periodo della pandemia in un’azienda che non lo ha mai lasciato da solo e questo se lo porterà sempre con sé, un valore ancora più forte dei contenuti di lavoro che lui ha affrontato e brillantemente superato. Ci siamo salutati facendoci gli auguri reciproci, con un arrivederci.

L’importanza di non chiudere mai le porte dietro di sé, l’intelligenza di potersi rivedere con rispetto, la sensibilità di privilegiare sempre la qualità dei rapporti umani al di là di tutto. Questo è un buon modo di andare. E in fondo anche di stare.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *