EPPURE ABBIAMO BISOGNO DI TORNARE A CASA

di FABIO GATTI – Partire è un po’ morire, ma ritornare? Il ritorno segna sempre e comunque un distacco, l’abbandono di un tempo della nostra vita (e di ciò che ne ha fatto parte) per rientrare tra i ranghi e riprendere il posto che ci spetta nella quotidianità. Ma il ritorno, a modo suo, non sfugge alla teoria della relatività: qualcuno lo maledice, sognando una vita da eterno Eden, dove sia sempre vacanza; qualcun altro, al contrario, lo invoca, non vedendo l’ora di tornare al lavoro, l’unica vera vacanza che conosca. In ogni caso, per ogni tipo umano si presenta immancabile, salvo eccezioni, il fatidico momento del ritorno.

Forse ritornare è il nostro destino: se non ci fosse ritorno non ci sarebbe nemmeno partenza, perché ciò che rende un viaggio un’esperienza davvero insostituibile è proprio il ritorno, altrimenti non sarebbe viaggio, ma permanenza stabile e definitiva, e probabilmente molto del suo fascino subito svanirebbe. In effetti perché, spesso, a un viaggiatore capita di considerare stupendo un posto che appare mediocre e normalissimo a un suo abitante? Al viaggiatore, del luogo, colpisce la diversità dal suo ambiente, l’estraneità dal suo mondo, la lontananza da tutto ciò che gli ricorda doveri, impegni, vincoli. Ma un luogo, per chi lo vive stabilmente, si porta dietro anche fatiche e dolori, rimpianti e delusioni. Solo il ritorno lascia a un posto visitato, esplorato, vissuto un fascino insolito, un’aura favolosa e quasi magica.

Il ritorno è un appuntamento scritto nel nostro DNA, se non altro perché proveniamo dal mistero e nel mistero, prima o poi, ritorneremo. Ma il ritorno è anche all’origine della nostra letteratura: non il viaggio, come a volte si dice, ma il ritorno (nòstos) è al centro dell’Odissea. Ulisse vuole ritornare, non viaggiare; la sua meta è la patria, non una landa esotica; la sua terra, con tutto quello che ne fa parte, è il pensiero dominante che lo assilla e ne alimenta le speranze, non la smania di esplorare ovunque e comunque, semmai tipica dell’Ulisse dantesco. L’Odisseo omerico è spinto dal desiderio di conoscenza soltanto in due casi, quando entra nella grotta del ciclope Polifemo e quando vuole ascoltare, ma ben legato all’albero della nave, il dolce canto delle sirene. È però indimenticabile la prima scena con cui l’eroe viene presentato, quella che lo immortala, solitario e malinconico su una spiaggia, mentre pensa a Itaca e a Penelope, nonostante si trovi su una splendida isola, Ogigia, e sia desiderato da una bellissima donna, Calipso. Alle origini della civiltà ci sono dei, patria e famiglia, per quanto la triade sia stata resa innominabile da chi ne ha voluto fare uno slogan politico a proprio uso e consumo.

Non esiste nella letteratura un viaggio senza ritorno: il greco Luciano torna sulla terra dopo essere arrivato fino alla luna e nel ventre di una balena; Dante, che pure raggiunge la vetta più sublime che un uomo possa raggiungere, la visione celeste, torna coi piedi per terra e fatica a esprimere in parole l’indicibile esperienza. Nemmeno le colonizzazioni e le migrazioni sono processi irreversibili: migranti e coloni, dagli antichi della Magna Grecia ai moderni in America, se proprio non possono rimpatriare, fanno di tutto per ricreare, nel posto in cui si trovano, le condizioni del luogo d’origine, a partire dal nome.

Persino la nostra anima, secondo Platone, ha come obiettivo il ritorno: spento il corpo, tornerà nel mondo immateriale delle idee. L’uomo stesso, sul piano affettivo, nel mito platonico tenta per tutta la vita di ritornare alla condizione originaria in cui era solo metà di un essere più completo, l’androgino, di cui l’altra metà era l’amato o l’amata che ognuno cerca. Anche la nostra esistenza, volendo, può essere letta come un ritorno all’origine: più si invecchia più si torna bambini, si dice, perché una sorprendente somiglianza di modi, sentimenti ed esigenze accomuna giovani e anziani.

Ritornare significa riconoscere e amare il legame indissolubile che sei destinato ad avere con una storia, un luogo, una persona. Il ritorno, del resto, non attende soltanto l’uomo, ma dev’essere piuttosto un bisogno ancestrale, un impulso irresistibile che percorre tutta la natura e riempie di sé terrestre ed extra terrestre: anche per il tenerissimo ET, l’alieno che tanto ci ha fatto sorridere e commuovere sulla Terra, a un certo punto arriva il momento di “telefonare casa”, e fare ritorno nel mondo che sente suo.

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