EMANUELA ORLANDI, LA STORIA INFINITA DEL VATICANO OSCURO

Pietro non si è mai arreso. Da 40 anni lotta su ogni fronte per conoscere il reale destino della sorella Emanuela, scomparsa il 22 giugno 1983 all’età di 15 anni a Roma. Forse, perché l’ultima volta che si sono visti hanno litigato: lei voleva un passaggio in auto alla scuola di musica, lui glielo negò. La ragazzina si spostò la lunga chioma di capelli bruni da una parte all’altra della fronte, con un gesto deciso come faceva ogniqualvolta fosse di cattivo umore. e se ne andò da sola verso il buio abisso in cui il suo nome è precipitato da allora.

Erano molto legati e Pietro non si è mai perdonato quell’innocente diniego che gli impedì di rivedere Emanuela per il resto della vita. Erano due dei quattro figli di Ercole Orlandi, che da elettricista arrampicato sulla cupola di San Pietro aveva fatto carriera sino a diventare commesso della Prefettura della casa pontificia. Per questo vivevano in Vaticano e per questo, dopo i primi giorni in cui i media, la gente e gli inquirenti si interrogavano sulla possibile scappatella di una giovane che suonava il flauto e il pianoforte, suscitò scalpore senza precedenti l’omelia di Papa Giovanni Paolo II, Carol Wojtyla, che durante l’Angelus si appellò espressamente alle “responsabilità” di qualcuno, chiedendo che chi disponeva della vita di Emanuela, facesse un passo indietro, accreditando così la tesi del rapimento.

Il papà e lo zio di lei avevano nel frattempo tappezzato la Capitale di manifesti con il suo volto, la fronte coperta da una fascetta elastica, su cui campeggiava la scritta enorme “Scomparsa” insieme con i numeri telefonici cui fare riferimento.

La famiglia era rimasta scossa anche dal fatto che, il giorno stesso della sparizione, la segreteria pontificia avesse voluto avvertire il Santo Padre che si trovava in visita nella sua Polonia. “Strano”, pensò Pietro, “una ragazzina della quale le autorità non hanno registrato la denuncia per una scomparsa (avevano 24 ore di tempo per farlo, all’epoca, ndr) di cui non si conoscono i motivi, suscita tanto interesse da parte della Santa Sede”, indipendentemente dal fatto che ne fosse una residente. Poco tempo dopo lo stesso Pontefice, in udienza privata, confessò alla famiglia Orlandi come il caso di Emanuela fosse un intrigo legato al terrorismo internazionale.

A quel mistero irrisolto sono stati dedicati documentari su documentari, fino alla serie “Vatican girl” in onda su Netflix dall’ottobre scorso. Il caso Orlandi continua del resto, ancor oggi, a mettere a nudo le lacune e l’imbarazzo di ogni alta sfera italiana, dallo Stato al Vaticano, dalla magistratura agli organi di Polizia fino ai media stessi. Il brancolamento nel buio tra piste false, testimonianze, dossier più o meno fasulli, telefonate anonime, speculazioni… Poi i depistaggi, le reticenze, gli indizi mai corroborati da alcuna prova concreta, non permisero mai alle indagini il minimo, significativo passo avanti, arrivando piuttosto al ridicolo quando, nel luglio del 2019, a seguito di una lettera anonima che indicava il presunto luogo di sepoltura di Emanuela Orlandi, furono scoperchiati due sepolcri nel cimitero teutonico in Vaticano, senza che fosse rinvenuto nulla. La stessa cosa era accaduta l’anno precedente nel cortile della Nunziatura e nel 2017 persino in Inghilterra dopo il ritrovamento di una nota spese fasulla che attestava lo stanziamento di 483 milioni delle vecchie lire “per tenere in vita la ragazza almeno fino al 1997”.

La trama di questa vicenda ha mescolato personaggi di altissimo lignaggio tra Papi, cardinali, vescovi, spie, capi di Stato, massoni con mitomani e commissari Lo Gatto, gente in cerca di visibilità o dei Lino Banfi qualsiasi che nelle ore successive alla scomparsa di Emanuela risposero a Pietro di non preoccuparsi così tanto visto che “sua sorella non è nemmeno così bella”. Saltando dalla malavita organizzata allo spionaggio, dalla banda della Magliana a torbide vicende di sesso, il caso Emanuela Orlandi è approdato infine a quel porto di partenza cui fece riferimento Papa Wojtyla: terrorismo internazionale, tipo uno “scambio” per la liberazione del suo attentatore Ali Agca o un ricatto legato al dissesto delle casse vaticane (lo scandalo Ior-Ambrosiano). Macabre sfaccettature della guerra fredda sulla pelle, e probabilmente sul sangue, di ignari innocenti.

Adesso, per i cultori di “Chi l’ha visto?”, gli amanti del noir e del torbido, ma soprattutto per le speranze mai sopite della famiglia e grazie alle loro richieste perpetue, il fascicolo – chiuso e archiviato dalla magistratura nel 2015 – viene riaperto dallo Stato della Città del Vaticano e affidato alla gendarmeria pontificia. Esattamente tra le mura e i confini da cui forse il caso Emanuela Orlandi è stato inghiottito e da cui non è mai uscito.

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