ECCO PERCHE’ I RUSSI NON USERANNO IL NUCLEARE

Dal momento che, in televisione e sui social, i miei compatrioti hanno la deplorevole abitudine di improvvisarsi, a seconda dei casi, virologi, commissari tecnici, analisti militari e così via, su richiesta del nostro ineffabile direttore, vorrei mettere un tantino di chiarezza circa l’utilizzo di armi nucleari e le reali possibilità che ciò avvenga da parte di Putin.

Per la verità, su questo argomento specifico, si è già espresso, con esemplare lucidità e chiarezza, il mio amico e maestro Gastone Breccia: mi scuso, dunque, con lui per questo intervento, che, se non sa di plagio, è, perlomeno, un po’ ripetitivo, rispetto a quanto da lui spiegato. D’altronde, le risposte sono quelle.

Cominciamo col dire che i concetti di “tattico” e “strategico”, in riferimento a un bombardamento, indicano non tanto l’intensità di questo bombardamento, quanto le sue finalità. Il concetto è antico: già Giulio Douhet, nel corso della prima guerra mondiale, postulava la necessità di colpire i centri di produzione militare, gli snodi logistici, i grandi depositi, piuttosto che le installazioni avversarie di prima e seconda linea. Questo concetto fu reso possibile dall’introduzione di velivoli in grado di spingersi per centinaia di chilometri oltre le linee avversarie, in pratica, decuplicando la gittata di una normale artiglieria. Si tratta dello stesso meccanismo che, nel 1941, rese del tutto obsolete le grandi navi da battaglia, i cui enormi cannoni potevano sparare a circa quaranta chilometri, rispetto alle portaerei, i cui bombardieri avevano un raggio d’azione decuplo.

Insomma, un attacco strategico mira a fiaccare le energie stesse del nemico, colpendo obbiettivi distanti dal fronte: questo attacco, a sua volta, può essere di tipo infrastrutturale, quando interessi, appunto, le strutture logistiche (vedi l’ultimo sul ponte per la Crimea), oppure terroristico, qualora miri a fiaccare la volontà avversaria, colpendo obbiettivi civili.

La seconda guerra mondiale, dall’operazione “Greif” al bombardamento delle città tedesche, fino all’olocausto nucleare, ci ha offerto svariati esempi di questo terrorismo pianificato. Ebbene, come un bombardamento convenzionale su di una città nemica è strategico e terroristico, a prescindere dalla quantità di esplosivo utilizzato, così, un attacco con l’uso di armi termonucleari sarebbe strategico, se colpisse centri abitati, e invece tattico, se avesse lo scopo di annullare un’offensiva avversaria o di indebolire le difese laddove si volesse attaccare. Dunque, è corretto parlare di uso tattico di armi atomiche, non di armi atomiche tattiche, giacchè la potenza delle testate poco ha a che fare con il loro utilizzo.

Tuttavia, è abbastanza evidente che l’uso sul campo di battaglia di armi nucleari imporrebbe, per ovvie ragioni, l’impiego di testate dalla potenza relativamente bassa: questo perché le bombe atomiche non possiedono soltanto un potere detonante (il cosidetto “pikadon”, il lampo-tuono), che in pratica annienta all’istante chi si trovi entro un certo raggio dalla deflagrazione, ma prevede una poderosa onda d’urto, a temperature ancora altissime, e un inevitabile fallout radioattivo, i cui comportamenti sono pressochè imprevedibili anche su chi attacca. In un certo senso, quindi, l’utilizzo tattico di armi termonucleari pone, all’attaccante, gli stessi problemi che, mutatis mutandis, poneva l’uso dei gas nella Grande Guerra: un’arma terribile, ma i cui effetti collaterali possono essere assai negativi anche per chi l’abbia usata. Dunque, paradossalmente, sarebbe meno aleatorio, da un punto di vista strettamente militare, da parte dei russi, un uso strategico piuttosto che tattico delle proprie testate.

Tale uso strategico, però, significherebbe colpire una città ucraina, causando la morte di centinaia di migliaia di civili: l’opinione pubblica mondiale, già fortemente condizionata da decenni di minaccia nucleare e memore degli orrori di Hiroshima e Nagasaki (peraltro, mai giudicati da un tribunale internazionale), non sopporterebbe un’azione di questo genere e la posizione di Putin diventerebbe definitivamente insostenibile. Tendo, perciò, a ritenere davvero poco probabile un attacco strategico contro l’Ucraina: le conseguenze negative supererebbero di gran lunga quelle positive, vere o supposte, e si darebbe il via a una pericolosissima escalation.

Circa l’uso tattico, invece, come si è detto, questo renderebbe di fatto poco agibile il campo di manovra, senza contare che la rarefazione sul terreno delle truppe ucraine offrirebbe pochissimi bersagli significativi per questo tipo di attacco. Insomma, una testata nucleare, anche di potenza minima (qualche chilotone), rischierebbe di creare enormi problemi di fallout, senza raggiungere risultati, in termini di danni inflitti all’avversario, realmente determinanti.

Per questa somma di ragioni, dunque, la reale eventualità di un lancio di testate nucleari da parte della Russia mi pare piuttosto remota. E voglia il cielo che non mi sbagli. Le minacce di Putin mi sembrano parte di una schermaglia su scala planetaria, più che di un reale piano di evoluzione termonucleare del conflitto, e non sono molto diverse da altre minacce simili, partite anche da altre potenze atomiche, in tempi più o meno recenti.

Quel che mi sento di dire è che una guerra termonucleare non è una partita di Risiko e che, quale che sia l’utilizzo che si faccia di queste terribili armi, le conseguenze di un bombardamento atomico sono sempre spaventose e dai risultati ancora in parte ignoti, sul medio e lungo periodo. Consiglio, pertanto, ai commentatori da bar di dedicarsi al football o alla politica nostrana. Sulle cose serie, purtroppo, c’è poco da scherzare.

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