Il mio personale omaggio a lei, un pezzo di storia d’Italia, è un pensiero tutto d’un fiato. Ripenso alla mia storia e a quella di tanti miei amici agli inizi dei favolosi anni ‘70, in sella all’aerodinamica e agile Primavera.
Assisto a un fenomeno che contagia parecchi: motoristicamente parlando si comincia con poco e si vuole arrivare ad avere sempre di più. A tappe molto forzate, però. Moto più grosse, più veloci, per lo più giapponesi a quell’epoca (come dimenticare la Kawasaki 500, oppure la Honda 400?), che dimostrino anche i progressi della tua carriera e della conseguente affermazione sociale.
Perché essere così banali e modaioli? Come se uno dovesse rinnegare le sue origini, come se una Vespa non fosse più adeguata al tuo status sociale. Piano piano, inesorabilmente, i miei amici passano di livello, abbandonando malinconicamente il loro primo mezzo che li ha liberati in una nuova dimensione spazio-tempo. Chi è stato lungimirante o semplicemente distratto (pochi) ha tenuto la Vespa abbandonata in qualche remoto angolo del garage o lasciata in una seconda casa, e ha potuto farla rivivere oggi, seguendo ancora un’altra moda, quella del vintage. La maggior parte di loro, invece, le ha lasciate cadere in disuso o addirittura vendute, se non regalate. Non posso pensarci, che fine orribile hanno inflitto a quelle care compagne. So per certo che, quando mi vedono sfrecciare oggi con la Mia Bambina verde vipera, i loro occhi si inumidiscono, e percepisco il loro pentimento per aver seguito troppo presto trend effimeri.
Anche a me piacciono molto le moto grosse, intendiamoci, ma la Vespa è una filosofia di vita. Io mi sento un vespista, non un motociclista, tanto meno uno scooterista. Quando disponi di tanti cavalli e di tutte le comodità, viene subito meno il senso dell’eroismo epico, esaltato invece nelle imprese con la Vespa, minuscolo mezzo dotato di ben 5 cavalli, ma molto scalpitanti e mai stanchi. E’ un mezzo analogico, niente di elettronico o digitale, altra grande differenza. Se non si accende, la spingi con la marcia ingranata e tutto si risolve. Non si rompe mai niente. Tutt’al più il filo della frizione, la candela o magari puoi forare: tutti problemi risolvibilissimi con un semplice fai da te. Pesa solo 80 chili, se serve la sollevi e la metti dove vuoi. La parcheggi ovunque e la guidi senza bisogno di vestirti come un cavaliere medievale, puoi partire in scioltezza così come sei. La velocità limitata ti consente di guardarti in giro, di ridurre i rischi e ti toglie l’ansia di dover arrivare alla tal ora e in tal posto in tempi brevi.
In sella a una Vespa la tua vita è slow in senso nobile. Sei saggio e prendi tutto come viene. E’ una scelta consapevole, mai una rinuncia.
Bellissimo pezzo, mi hai fatto pensare a tanti bei momenti.
Caro Gherardo, tutto vero e condivido i moti dell’anima ed il pensiero filosofico, anche se su una Vespa ebbi tanti anni fa un brutto incidente, ma lei, la Vespa, non c’entrava niente. Colpa di chi guidava, io ero dietro….
Su una cosa però mi sento di spendere una parola. Forse ci saranno un certo numero di motociclisti che vedono nella moto un mezzo d’affermazione sociale, uno status symbol, alla pari del macchinone o dell’orologione. Ma io credo che la maggior parte dei motociclisti sia animata da PASSIONE, magari diversa, ma PASSIONE. Che li porta a sfide, vuoi velocistiche, vuoi enduristiche oppure semplicemente a viaggiare con l’aria in faccia, con il sole ma anche con la pioggia. Insomma anche a soffrire un po’ per la propria passione di tanto in tanto. Sugli scooteristi non mi pronuncio. Con amicizia Pierluigi