LA COMMEDIA TRAGICA DEL COMMISSARIO

di JOHNNY RONCALLI – Mia! Tua! Lascia! Una sventurata ammucchiata nei pressi dell’area di porta che risale alla mia pittoresca carriera calcistica. L’esito fu inevitabile, gol degli avversari, frittata servita. Una involontaria gag che ogni tanto rievoco quando si tratta di portare esempi sull’assunzione di responsabilità, responsabilità che alla fine nessuno si prende.

Campi di periferia, figuranti davvero folcloristici, commedia garantita. Nessun ferito, nessun caduto.

In questi giorni, tra il 38° e il 40° parallelo dell’emisfero nord, in terra di Calabria, una commedia ben più amara si sta consumando, con personaggi altrettanto folcloristici e irresistibili, non fosse che questi personaggi occupano posti di responsabilità assoluta nella sanità pubblica, commissari nientemeno. Con feriti e caduti stavolta. E con tanta indignazione.

Commissari che per definizione dovrebbero rattoppare le falle pregresse e rimettere in sesto il veliero e invece nemmeno sanno distinguere tra poppa e prua, nemmeno sanno bene dove diavolo stia il timone. Peggio, nemmeno si ricordano che dovrebbero tenerlo saldo nelle proprie mani il timone, persino peggio dei politici prezzolati alle cui malefatte dovrebbero porre rimedio.

Povera sanità. Saverio Cotticelli è una tragedia grottesca, patetico a tal punto da rendere difficile credere non sia un attore. Non lo è in effetti, purtroppo.

Uno nella sua posizione dovrebbe stare in silenzio e magari scomparire il prima possibile. Ma che possa scusarsi e togliere il disturbo non è da prendere nemmeno in considerazione. Il disturbo glielo fanno togliere, adesso.

Eppure lui, tenace e ostinato, persevera: se commedia deve essere, commedia sarà. Si scrive da solo la sceneggiatura e ipotizza soluzioni ingegnose per il prosieguo della trama.

Nell’intervista rilasciata a La7 (“Non è l’arena”), concede qualche anticipazione, senza svelare fino in fondo gli sviluppi. C’è un colpevole, più di uno lascia intuire, c’è una cospirazione, ti pareva, “perché quell’intervista arriva preceduta da una serie di attacchi che mi arrivano per via mediatica e per via istituzionale. Conclusione logica di un attacco di delegittimazione”.

Lascia intendere che qualcuno deve avergli giocato un tiro mancino, qualcuno deve aver sparato proiettili di grosso calabro. Non si riconosce, la sua famiglia non lo riconosce, “sembravo la mia controfigura, non so in quel momento cosa mi sia successo” dice.

“Sto cercando di capire con un medico se ho avuto un malore o ho avuto qualche altra cosa”. La giornalista in studio suggerisce “nel senso che potrebbe essere stato drogato?”. Lui non nega, non svela la trama.

È un classico, della commedia e della difesa disperata, l’appello all’incapacità di intendere e di volere. Temporanea, si capisce, il tempo che serve. Ancora meglio se indotta truffaldinamente da avversari o malintenzionati.

Rimane un fatto, tra gli altri, il fatto in verità, come gli ricorda il giornalista Lino Polimeni: il piano anti-Covid non c’è.

Cotticelli dice che la notte dopo quella memorabile intervista per la trasmissione “Titolo V” non ha dormito e ha vomitato. Non il solo.

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