E PER FORTUNA CHE CHICO FORTI DOVEVA TORNARE A NATALE (DEL 2020)

La notizia è che non c’è nessuna notizia. Dopo la promessa di 13 mesi fa del ministro degli esteri italiano (“Sarà a casa per Natale”), è calato il silenzio assoluto, se non che Di Maio da allora parla d’altro. Di tutto, ma non del caso Chico Forti, l’italiano recluso da 22 anni negli Stati Uniti al termine di un processo farsa per omicidio.

Spuntano striscioni, manifesti, cartelloni, post di solidarietà ogni giorno e ovunque. Si moltiplicano gli scioperi della fame accertati di vip e di gente comune, gli articoli di quotidiani, radio e tv locali in Trentino da dove Chico partì più un quarto di secolo fa. Si alza la voce degli zii incrollabili Vilma e Gianni Forti, che lanciano appelli quasi quotidianamente. Sbuca qualche interrogazione parlamentare senza che abbia risposta alcuna. Per il resto, il nulla più assoluto.
Il detenuto italiano abbandonato dalle istituzioni, vigorose nella propaganda quanto inette nel concreto, in carcere scrive poesie, come quella che ha buttato giù a Natale: “Veramente pochi fiori – scrive Chico Forti – rappresentano il concetto di resilienza come la Stella Alpina. Sopravvivendo a temperature sottozero, a forti venti di uragani, su suoli rocciosi. Per questo dedico la mia nuova poesia alla dissolvenza tra vecchi e nuovi anni, onorando la resilienza. Ora sto affrontando la fase finale di questo Iron Man lungo 22 anni, con la mia Maratona delle Termopili verso casa. Non importa se scritta o vocale, ogni parola ha un suono, ogni frase è uno strumento.
Come una stella alpina, le radici aggrappate alla roccia, primo ed ultimo nel salutare la neve. Più albatros che gabbiano vedevo lontano, una vista migliore la godeva solo il cielo. I folli, a fatica, mi raggiungevano, altri più folli mi emulavano. All’alba facevo colazione col sole, al tramonto raccontavo le storie alla luna, quella né pallida né cinerea, circondato d’ombre e gocce di vento, la mia musica era l’aria, le mie note le nuvole. Raccolto da mani impietose il mio destino ora è inserito in un libro, mio malgrado, nella pagina imprevista. Mi adatto, non mi spezzo. Fragile non è un’opzione, il tempo non mi ha alterato. Lenti magiche mi hanno ritrovato, tolto dal libro vogliono vedermi, sfiorarmi. Mi riscopro ovunque, nelle voci, nelle canzoni: in mezzo all’ inverno di Tiziano, nel guerriero di Marco, nell’esistenza di Francesca, nel risveglio di Damien, nei sospiri di Chiara, nella dedica di Andrea, nelle liriche di Joe, nella voce di Luca, Michele ed Enrico… Dal libro sono passato in un quadro: vicino ad una finestra aperta, riassaporo il vento. Il ciclo continua, non è segreto, rimango una stella alpina. Chico”.

Una tragedia giudiziaria si è abbattuta come un uragano su una famiglia mite che ha un solo scopo, ormai, nella sua vita: far riabbracciare il figlio alla madre, 93enne. Le carte di trasferimento sono sparite, gli era stata accordata l’estradizione in assenza assoluta di possibilità di revisione del processo, ma la diplomazia è inesistente, salvo non si tratti del percorso inverso come nel caso di Amanda Knox.

Quello di Chico Forti resta un caso di cui la nostra politica deve vergognarsi, un caso per cui ogni italiano deve tremare perché in viaggio all’estero, qualsiasi cosa ti accada nelle grinfie della “giustizia” locale, sei condannato a restare solo, dividendo il senso comune di frustrazione e distacco per una classe dirigente sorda e insensibile. Fuori dai confini italiani, siamo soli con la nostra valigia e i rischi che corriamo.

A meno che qualche altra valigia si riempia di soldi per un riscatto, nel qual caso in aeroporto ci verranno a prendere presidenti della Repubblica, del Consiglio e di partito, per il rituale selfie, per una nuova montagna di retorica come esca da urna elettorale, per un nuovo effimero successo di incravattati che in verità se ne fregano. Dando appuntamento al prossimo Natale.

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