E’ ORA DI RIACCENDERE LE LUCI SU CHICO FORTI

di LUCA SERAFINI – Il romanzo è durato due anni, da un omicidio del 15 febbraio ‘98 a Miami alla condanna del presunto – molto meno che presunto… – colpevole, l’italiano Chico Forti, nel giugno del 2000.

Da allora, per gli americani la storia è finita e le migliaia di altre pagine, le decine di altri capitoli, le stanno scrivendo i comitati, i sostenitori, i social, mamma Maria di 93 anni, gli zii Gianni e Vilma, la buonanima del giudice Imposimato, tra i primi a battersi con Emma Bonino e la criminologa Roberta Bruzzone (che un libro sulla vicenda lo ha scritto davvero, “Il grande abbaglio”), le “Iene” che al caso Forti hanno dedicato servizi su servizi. E poi decine di personaggi pubblici (Bocelli, Albano, Ruggeri, Jo Squillo, Montesano, Red Ronnie tra i più battaglieri).

Incastrato da qualche granello di sabbia sul paraurti della sua auto, compatibile con quella della spiaggia dove fu rinvenuto il cadavere, e una bugia estorta dalla Polizia della Florida con minacce documentate terrorizzando il sospettato, all’ex campione di surf e documentarista Chico Forti è stato inflitto l’ergastolo, dopo di che i giudici hanno buttato la chiave.

Le battaglie mediatiche e popolari di questi anni, dopo lustri di assoluto disinteresse da parte delle autorità italiane, sembravano aver finalmente sortito effetto con Giggino Di Maio, che a Natale aveva annunciato di aver ottenuto il trasferimento di Chico in un carcere italiano. Miglior risultato possibile, visto che di revisione o addirittura riapertura del processo proprio non se ne parla. Grandi feste, esultanze, sollievo, ma da Santo Stefano la vicenda è ripiombata in un silenzio assoluto, senza più spiegazioni né giustificazioni da parte del Governo italiano. E figurarsi da quello statunitense, che nel frattempo ha cambiato pure il suo Presidente…

Si è tornati a brancolare nel buio e allora nelle notti di lunedì 12 e martedì 13 luglio ci ha pensato il grattacielo Pirelli ad accendere le luci delle sue finestre, creando la scritta: “Chico in Italia”. Votata – per una volta all’unanimità – da tutti i partiti del consiglio regionale della Lombardia, l’iniziativa è stata della leghista Francesca Brianza, supportata dal governatore Fontana, “allo scopo di sensibilizzare e mobilitare ancora una volta tutte le forze politiche italiane”.

L’aspetto più inquietante di questo romanzo incompiuto, quello che probabilmente ha finito per coinvolgere e appassionare l’opinione pubblica del nostro Paese, è che a Chico Forti è accaduto qualcosa che potrebbe tranquillamente capitare a qualsiasi nostro connazionale, a ognuno di noi. E non in un dimenticato entroterra del centro America o delle Indie, nel cuore dell’Africa o in chissà quale sperduto anfratto della terra, ma in una delle capitali più moderne della democrazia Usa.

Non c’è stato verso fino ad oggi di dare dignità e giustizia a un uomo probabilmente vittima di macchinazione. Non c’è stato modo di aggrapparsi a un anelito di giustizia e di diritto per una sentenza scritta prima che iniziasse il discutibile processo.

Ora, non sembra ci sia più alcuna strada da percorrere per sperare nello Stato in una tutela e in un’assistenza (un impegno concreto, insomma) per un italiano incastrato in una trappola lontana.

Dopo i bigliettini natalizi di Di Maio, sono passate Epifania, Carnevale, Pasqua e il prossimo Ferragosto: lo sprezzante silenzio americano nei confronti della Farnesina non sembra nemmeno irritare più di tanto la nostra diplomazia politica.

Chissà che, con le luci del Pirellone, si riaccendano anche l’anima e la coscienza di Di Maio e della politica italiana, smentendo la sinistra sensazione d’essere avvezzi a trascurare i propri figli. Quelli perdenti, almeno.

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