Lo ha fatto in relazione alla nuova copertina che “Vanity Fair” ha dedicato alla curvilinea attrice spagnola: “Non critico lei – ha detto Sabrina Ferilli -, ma questo modo di raccontare tutto e il contrario di tutto che porta a un corto circuito insopportabile. Probabilmente si è rotta le balle pure lei di essere messa in mezzo a ‘sta storia che non ha più senso”. In conclusione, Sabrina ha invitato Vanessa a fare “magari una copertina in meno” e a parlare di più del lavoro che “meritatamente” sta facendo.
Come capita sempre a chi sogguarda il mondo da una prospettiva che vede solo la necessità di curare la società dal bullismo nei confronti di chi non si allinea ai vigenti canoni estetici, la presa di posizione di Sabrina Ferilli è inaccettabile e si presta a ogni sorta di accuse: insensibilità, conformismo, perfino complicità con gli “odiatori” che strisciano negli oscuri recessi del Web.
Ma se lo sguardo si allarga, e si sforza di comprendere anche il ruolo delle donne nel mondo dello spettacolo, o perfino più in generale in quello del lavoro, allora l’uscita dell’attrice romana non è del tutto fuori luogo: “Parliamo di quel che facciamo, non di come appariamo”. Altrimenti la specializzazione mediatica, l’etichetta esclusiva, è dietro l’angolo: ecco Vanessa Incontrada, la ragazza testimonial del “grasso è bello”, punto e basta. Un ruolo non sbagliato e non inutile: peccato, soprattutto per lei, che possa facilmente diventare una trappola, una limitazione.
Non che a sua volta Sabrina Ferilli si sia sempre rifiutata di fare del suo aspetto fisico uno strumento di popolarità – basti ricordare lo “spogliarello” per la festa dello scudetto 2001 della sua Roma -, ma almeno alla lunga ha evitato di trasformarsi in un cliché, di costringersi in una “specializzazione” mortificante. Forse per questo ha voluto avvisare la collega: ci vuol poco a diventare una macchietta, un luogo comune. Il fatto che la causa sia una buona causa non rende tale abito – perdonate l’involontaria allusione – troppo stretto e scomodo.