E’ IL SILENZIO LA PRIMA LINGUA DA IMPARARE

di DON ALBERTO CARRARA – “Il silenzio è la lingua di Dio”, ha detto Papa Francesco. Sarebbe facile fare del’ironia. Perché sul silenzio di Dio si è scritto moltissimo: molte parole per dire che Dio tace. Ed è ancora più paradossale questo abbinamento fatto da Papa Francesco, se collocato nel nostro mondo dove ciò che domina non è il silenzio ma la parola, anzi le parole, le molte, moltissime parole.

Tutti sanno e tutti dicono che un tratto significativo della nostra cultura è il moltiplicarsi vertiginoso della comunicazione, che trova nella rete il suo ambito privilegiato. Tutti parlano di tutto. E spesso il potere è anche e soprattutto potere di parlare. In questi giorni Trump è stato espulso da Twitter. All’uomo di potere è stato tolto il potere di parlare.

Questa evidente enfasi della parola provoca molte ricadute, diverse e diversamente gravi. Siccome si parla e si parla moltissimo, è diventato difficile non parlare. E quando non si parla si ha la sensazione deprimente di aver smarrito non solo la propria parola, ma la propria identità.

Grande stranezza, questa. Non ci si dovrebbe sentire uomini perché si parla, ma il contrario: si dovrebbe parlare perché ci si sente uomini. E proprio perché il sentirsi uomini è fondamentale, dovrebbe essere per tutti un esercizio necessario quello di “tornare a casa”, rientrare in se stessi, capire chi si è, prima di preoccuparsi di gridarlo al mondo intero e dintorni.

In altre parole: per parlare bene, bisogna tacere. Il silenzio è il condimento necessario della parola. Ma il silenzio è stato ammazzato dallo strapotere delle parole ed è diventato cosa rara e strana. Eppure, a pensarci bene, nulla, alla fine, è più strano di questa stranezza.

La riprova e contrario di questa stravaganza la si può verificare seguendo un qualsiasi talk show televisivo.

Nei dibattiti televisivi più che parlare, si grida. Non ci si preoccupa di ascoltare l’interlocutore per potergli poi rispondere, ma ci si preoccupa di non lasciarlo parlare. La parola viene usata per negare la parola.

Anche la parola è diventata strumento di potere e la quantità del potere è misurata dalla quantità della voce. Le parole più sono potenti, più sono gridate. E più sono gridate e meno dicono. Il potere fa diventare muta la parola.

Alla fine, dunque, torna il silenzio. Ma non è più il silenzio che mi permette di dare profondità alla mia parola, di parlare prima con me stesso, ma il silenzio imposto dalle troppe parole e dal loro rumoroso fragore che, alla fine, mi impedisce di parlare.

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