DUE PAROLE DA MADRE A NON MADRE

di ELEONORA BALLISTA – Lilli Gruber è la protagonista dell’ultima puntata di “Mama non Mama”, podcast diretto e condotto dalla vicedirettrice del “Corriere della Sera” Barbara Stefanelli. I sette incontri, reperibili su “Audible”, trattano il tema della maternità e nell’ultimo, che vede coinvolta la nota conduttrice di “8 e 1/2”, si discute del “non essere madre” per scelta precisa e ragionata.

<Partiamo sempre dal presupposto che una donna che non ha figli abbia rinunciato a qualcosa — osserva Gruber —, che sia meno realizzata, meno felice, meno completa. E ovviamente non facciamo lo stesso ragionamento per un uomo: è un assunto molto anacronistico e anche molto pernicioso>.

Il tema è ampio e con moltissime sfaccettature, ma mi piacerebbe provare a dare un ordine ai pensieri, sperando, alla fine, di avere, io per prima, una visione più nitida.

C’è chi ha ben chiara l’idea di volerlo, un figlio, e chi, al contrario, non ne vuole sapere (non mi addentro qui nei motivi della scelta perché servirebbero troppe righe).

Poi c’è chi, pur volendolo fortemente, non riesce a concepirlo e magari affronta il tortuoso cammino dell’adozione (altro tema enorme), o l’infinità di pratiche mediche al limite dell’accanimento.

E anche chi, pur avendo dichiarato con fermezza di non volerne, si pente quando è ormai troppo tardi per procreare. Oppure chi si ritrova incinta senza averlo pianificato, per una distrazione.

Per scelta, per calcolo, per caso, i figli si fanno comunque in due, vero, ma il coinvolgimento di donne e uomini nel lavoro tecnico di procreazione non può essere messo sullo stesso piano perché è un fatto che i bambini siano fisicamente generati dalle donne. Tradotto: il tempo della maternità è a solo carico del corpo della mamma.

Ed ecco un’altra domanda: sentire dentro di sè una nuova vita che si muove è bello o brutto? È un miracolo o spaventa? O, più verosimilmente, un miracolo che spaventa?

Credo che la risposta sia differente in ogni donna. Io personalmente ho vissuto la gravidanza come un periodo bellissimo e l’accezione di miracolo mi è parsa quanto mai tangibile nel momento in cui mia figlia stava nascendo. Anche adesso, se potessi, vorrei provare di nuovo la sensazione del parto perché è qualcosa di inspiegabile e, appunto, miracoloso.

A tal proposito, e coinvolgendo un uomo come auspica la signora Gruber, mi viene in mente un commento dell’attore Fabio Testi, che alla domanda “Vorresti essere una donna?”, rispose “Sì, per partorire e capire cosa si prova”. È l’unico maschio che io abbia mai sentito esprimere un concetto del genere.

Ma torniamo un momento a quanto afferma la Gruber, fieramente “non mamma”: non è detto che una donna senza figli debba sentirsi una persona a cui manca qualcosa. Se ha deciso consapevolmente di non essere madre non può essere considerata una persona “a metà” e può, anzi, dirsi del tutto felice così.
Concordo, a patto di non pentirsi.

E qui mi sovviene un’altra affermazione illuminante, stavolta affiorata non sulla bocca di un personaggio famoso ma di una ragazza qualsiasi, intervistata per strada. Alla domanda: “Ti spaventerebbe aspettare un bambino?”, la risposta fu “Sì, perché è una scelta irreversibile”.

Esatto, è una scelta irreversibile. E lo è nei due sensi, sia che si decida di mettere al mondo una creatura, sia che, scientemente, si decida di non farlo. E si tratta di un’irreversibilità immediata nel primo caso e differita (e anche irrimediabile) nel secondo, per via dell’età che inesorabilmente avanza.

Che dire, dunque? Chi ha ragione? Chi un figlio lo vuole a tutti i costi o chi proprio non lo vuole? Chi si vota a gioie e preoccupazioni dal momento del parto fino alla fine dei propri giorni (perché questo provoca un figlio, una spaccatura netta fra la vita “prima” e quella “dopo” la nascita), o chi evita le notti insonni causa bimbo che piange prima e adolescente che non torna e sono già le due di notte dopo, ma rinuncia (in nome di ciò che più ritiene importante) anche alle infinite gioie che provoca una persona che è una parte di te?

Non credo esista una riposta univoca. Troppi i fattori che dovrebbero concorrere per formularla.

Dico solo che è senz’altro giusto rispettare le scelte di ciascuno.
Siano da considerarsi esse giuste o sbagliate, resta un giudizio insindacabile di chi quelle scelte le ha compiute. Così come è faccenda privata l’eventuale pentimento per la strada intrapresa.

Infine, però, il sentimento che vedo bene per tutti è la comprensione: per i pentiti, di avere voluto o non voluto un figlio, e anche per chi questa scelta, per mille ragioni, non ha potuto farla.

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