DRAGHI E LA SCADENZA DELLO YOGURT

di CRISTIANO GATTI – Ne parlano con iperboli sportive. “E’ Ronaldo, non può stare in panchina ” (Giorgetti, Lega). “Non posso certo insegnare a Baggio come si tirano le punizioni” (Renzi, Italia viva). In generale, è tutto un riconoscimento e una genuflessione. Un fracasso di adulatori. In questi momenti, mai la politica si sognerebbe di incrinare il mito del SuperMario. Come se non fosse proprio questa precisa persona a rendere eclatante il fallimento e la pochezza di un’intera classe dirigente, dentro i palazzi del potere. Più battono le mani, più gli danno del Ronaldo, più sottolineano pubblicamente la differenza di livello con se stessi. Come darsi dei nani davanti al gigante.

Del presidente incaricato, in definitiva, i politici celebrano quello che loro non sono e non hanno: studio, fatica, competenza, serietà, sobrietà, saggezza. E’ magnifico vedere quanto apprezzino quello che non riescono mai ad esprimere in proprio.

Davanti a queste enfatiche celebrazioni di Draghi, molti italiani ingenui sono portati alle più ingenue conclusioni: perchè non averci pensato prima? Di più: perchè non pensarci anche dopo? Se abbiamo un compatriota tanto valido, perchè non tenercelo stretto?

E’ evidente che non abbiamo le carte in regola per capire come funziona quella giostra. La politica ortodossa, di professione, accetta e considera il tecnico come qualunque famiglia accetta e considera il tecnico della lavatrice. Ogni tanto la casa non funziona più, si allagano i pavimenti, a quel punto bisogna chiamare lo specialista e lasciarlo lavorare. La politica arriva a un punto tale di sconquasso che da sola non sa più dove girarsi: ecco l’esse-o-sesse al tecnico. Così con Monti, così stavolta con Draghi. Il tecnico arriva, si prende il suo tempo, aggiusta il danno, e alla fine la politica si pavoneggia pure per averlo scelto.

Questo gioco, ormai noto a tutti, però finisce presto. Il tecnico, in Italia, ha la scadenza breve, come lo yogurt. La politica non ha tempo da perdere. Non ha terreno da cedere. La politica ha le sue regole. Con parole suadenti, comincia subito a raccontare in giro che il tecnico è necessariamente meccanico, rigido, freddo, calcolatore. Ascendente ottuso. Non alza la testa dai suoi quattro algoritmi. Per le grandi scelte ideali, per le riforme vere e per gli indirizzi a lungo termine, ci convincono che serva la politica. In teoria sarebbe proprio così, se non sapessimo com’è ridotta la politica nostra. Ma questo non incide: non appena il tecnico ha riparato i danni, prenda i suoi ferri del mestiere e si tolga dai piedi. Che non si metta in testa di usare la propria testa. Di pensare, di fare in prima persona. Quella è la porta. Andandosene, deve portarsi dietro anche gli insulti per i sacrifici e le seccature che ha imposto in casa (leggi Monti).

E poi, è già scritto, sull’ottusità e sul cinismo dei tecnici, fiero e imperioso finalmente sarà ripristinato il leggendario “primato della politica”. Quello che conosciamo, quello che ad anni alterni deve chiamare il tecnico.

Draghi sicuramente sa tutto. Come funziona e come andrà a finire. Ma tira dritto, in scienza e coscienza, fosse anche solo per qualche mese. Non c’è come avere la sua esperienza del mondo per sapere quanto vale l’adulazione di oggi, mentre gli baciano l’anello.

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