DOVE I JEANS SONO ROBA DA VECCHI

Ve lo ricordate Marlon Brando ne “Il Selvaggio”? Parliamo di un film del 1953, per cui è possibile che la memoria non si estenda a immagini girate tanto tempo addietro. Eppure, è uno dei film che fece di Brando un’icona. Non solo: provvide anche a elevare i blue jeans a indumento sinonimo di gioventù, ribellione, anticonformismo.

Tre cose distinguono Johnny, il personaggio di Brando nel film: la motocicletta – una Triumph Thunderbird 6T -, un giaccone di pelle e i jeans. Nel 1953 forse non tutti i ragazzi potevano permettersi motociclette e giacconi di pelle: i jeans erano però a portata di portafoglio e così, grazie a Brando, ma anche a James Dean, essi diventarono l’indumento informale per eccellenza, laddove informalità denunciava insofferenza per regole e stile classico. Calato nel pantalone informale si immaginava dovesse esserci un tipo altrettanto insofferente alle consuetudini, alla tradizione, all’uniformità sociale. Da braghe di lavoro per portuali e cowboy, insomma, i jeans diventarono presto un manifesto di giovanilistica indipendenza e, perché no?, di anelito rivoluzionario.

Il tempo ha poi attaccato questa carica trasgressiva, sottoponendo i blue jeans ai cicli e ricicli della moda: non più solo “blue” ma di tutti i colori, e poi slavati, rilavati, a vita bassa e a vita alta, aderenti, a zampa d’elefante e infine sfregiati, tagliati, strappati. Mai però è riuscito a spegnerne nel tutto la valenza giovanile e il carattere fuori dagli schemi. L’informale è diventato un “casual” in realtà ben codificato, ma il potenziale trasgressivo, anche se contenuto e sottinteso, è sempre rimasto. A risvegliarlo, bastava in fondo qualche furba manipolazione: come quella commessa nel 1973 da Oliviero Toscani il quale, giocando tra provocazione e blasfemia, mise sui manifesti un sedere femminile fasciato in jeans con lo slogan “Chi mi ama mi segua” per far pubblicità al marchio… Jesus.

Insomma, una vita ormai molto lunga non ha impedito ai jeans di mantenere un certo carattere indipendente e spigliato. Almeno fino a oggi.

Dal Giappone, infatti, ci arriva notizia che i ragazzi hanno dichiarato i jeans “roba da nonni”. Lo ha scoperto la trasmissione tv “Monday Late Show” che ha sguinzagliato per Tokyo degli intervistatori allo scopo di scoprire ciò che mai e poi mai i giovanissimi si sognerebbero di indossare e quali “trend” per adulti considerano irrimediabilmente superati. Ebbene, per questi imberbi orientali i jeans stanno al posto in cui noi collocheremmo la redingote e le galosce, i corsetti e la crinolina. I jeans, è stato detto agli intervistatori, danno a chi li indossa un’aria da “sfigati” (traduco liberamente dal giapponese) e vanno evitati a tutti i costi. Che cosa preferiscano indossare al loro posto, non è chiaro: i ragazzi hanno detto che possono “scegliere tra tante alternative”, basta che non siano jeans.

Brando-Johnny, insomma, ci saluta dalla casa di riposo. Almeno in Giappone. Invece di scorrazzare sulla sua Thunderbird se ne starà al calduccio a sorseggiare camomilla e a riflettere su tempi che cambiano, le mode che passano e sul fatto davvero singolare che quanto ieri faceva scandalo oggi rimanda un’idea di noia e vecchiume.

Scandalo è dunque in qualche caso sinonimo di ciò che riesce a sorprenderci e non riusciamo (ancora) a collocare a livello del nostro orizzonte. I jeans, bene o male, ci sono riusciti per circa settant’anni. Vedremo che cosa sapranno proporre i ragazzi giapponesi.

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