DOMINA IL MANAGER NARCISISTA, MA HA I GIORNI CONTATI

Che i manager siano un po’ narcisisti e pieni di sé è cosa abbastanza risaputa, ma uno studio recente fatto dall’università di Stanford su questo tema ci dà qualche informazione in più. Ci dice che i CEO americani siano narcisisti per il 18%, contro una media del 5% riferita all’intero popolo statunitense – e questo ci poteva stare –, ma ci dice soprattutto che i narcisisti facciano più carriera e che siano pagati il 33% in più dei colleghi meno autorefenziali. E’ un dato significativo.

Cosa vuol dire esattamente essere narcisisti per questa ricerca? Avere un grande ego, amare il successo e il potere, pensare di essere speciali e cercare l’ammirazione ad ogni costo. Probabilmente sono le dosi ad essere in eccesso, perché a ben vedere un po’ tutti noi lo siamo in certe situazioni e non ce ne dobbiamo nemmeno vergognare troppo. Il dato davvero negativo è che tali comportamenti giocano contro il fare squadra e si assiste ad un vero accaparramento famelico di ogni merito in circolazione. Un senso di ingordigia che si accompagna spesso ai mega stipendi che gridano allo scandalo.

A questa analisi dobbiamo aggiungere anche ciò che succede dietro le quinte, qualcosa che solo gli addetti ai lavori possono vedere. La mia testimonianza dal campo può essere utile. Di solito, questi narcisisti sono bravi nel tessere le giuste pubbliche relazioni con chi conta e bravissimi nell’enfatizzare i propri meriti, soprattutto nel breve periodo. Lustrando bene gli ottoni, appaiono come persone di grande successo che possono risolvere qualsiasi situazione. Curano in modo particolare i rapporti con gli “head-hunter” di alto livello (i cosiddetti cacciatori di teste, cioè quei consulenti chiave che fanno il mercato dei top manager, paragonabili ai procuratori dei calciatori), che al momento critico – quando li stanno facendo fuori – li piazzano in altre posizioni di lusso. Naturalmente dopo buone-uscite milionarie, il danno oltre la beffa. Ne ho visti diversi di questi casi e mi dispiace prendere atto di quanta connivenza attiva e passiva ci può essere in un giro di poltrone simile, quando basterebbe leggere bene i curriculum, analizzare non solo i risultati ottenuti ma come ci si è arrivati, e fare interviste serie sui loro comportamenti reali nelle organizzazioni. Invece, si preferisce l’allure che accompagna le loro uscite pubbliche o il calibro delle loro amicizie potenti.

Però … meno male che c’è un però. A giudicare dal trend attuale nel top management, registro con soddisfazione un forte calo di questa categoria. Sono abbastanza sicuro che anche negli USA quel 18% sia in decrescita se lo vediamo nel tempo, anche gli americani ci stanno ripensando. Nel vecchio continente, dove la cultura manageriale è più a dimensione umana, noto con piacere un’inversione di tendenza. Adesso, il modello di manager è sempre più vicino alla figura del coach, bisogna saper parlare con le persone e capire come costruire un team vincente tutti insieme. E insieme intendo non solo i dipendenti della società, ma anche i cosiddetti “stakeholder”, cioè i portatori d’interesse intorno all’azienda: fornitori, clienti, ambiente, società e istituzioni. Ci vuole qualcuno che sappia dialogare costruttivamente con i più diversi interlocutori e che riesca a mettere insieme un forte consenso in un contesto di grandi cambiamenti. Le abilità richieste sono quindi la capacità d’ascolto, la proattività, l’intelligenza emotiva, l’apertura mentale, la preparazione e la cultura. Sta screscendo una nuova generazione di manager dal volto umano e sembra che anche la rete di influenzatori ne stia prendendo atto, e forse assisteremo in futuro all’estinzione dei narcisisti ego-centrati.

E’ una strada difficile, fatta di tanti ostacoli, ma se il management delle aziende stesse ci crederà davvero potrà orientare le assunzioni dei giovani talenti con queste caratteristiche. Bisogna che il sistema premiante si concentri più sul valore delle iniziative che sui risultati nudi e crudi, curare la visione e meno gli obiettivi a breve, mostrare coraggio nelle scelte ed accettare i fallimenti, avere uno sguardo ampio sul futuro che verrà e coltivare sogni aziendali e organizzativi, muovendosi con flessibilità e rapidità

Un lungo cammino sappiamo che inizia con un piccolo passo, sento con piacere un certo calpestio intorno a me.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *