DIVENTARE GRANDI SIGNIFICA SENTIRSI PICCOLI

Secondo alcune teorie psicologiche, ispirate dal pensiero di Freud, il bambino nei primi due mesi di vita, pur essendo totalmente dipendente dall’ambiente esterno, sperimenta un senso di onnipotenza, attribuendo a se stesso l’origine dei fenomeni esterni. In pratica, non avendo ancora consapevolezza del mondo esterno, a quell’età si può immaginare che siamo noi stessi a far comparire la madre. La crescita, con l’aderenza al principio di realtà, comporta il progressivo riconoscimento dei nostri limiti e della prevalente assenza di controllo sul mondo esterno.

Analogamente, l’umanità, fino a pochi secoli fa, reputava la terra al centro del cosmo. Poi si è riconosciuto che il nostro pianeta ruota attorno al Sole; in seguito abbiamo scoperto che il nostro sistema planetario è solo uno dei tanti della nostra galassia, poi è stato accertato che le galassie sono tantissime e ora appare ragionevole credere che esistono molteplici Universi, con leggi fisiche proprie e diverse.

Insomma, sia per l’individuo che per la collettività l’aumento della conoscenza comporta il continuo riconoscimento della nostra limitatezza, quasi insignificanza. Riecheggia sempre di più il “So di non sapere” del grande Socrate.

Pare proprio che diventare grandi significhi prima di tutto accettare che siamo piccoli. Molto piccoli.

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