DIECI ANNI DI BES, UN ALTRO INGANNO DELLA SCUOLA

Com’è noto, la scuola italiana si fonda su due caposaldi epistemologici: il primo è l’abuso della lingua inglese, trasformata in una sorta di miniera di definizioni, che esistono, perfino più efficaci, anche in italiano, ma vuoi mettere? Il secondo è l’utilizzo, se possibile ancora più alluvionale, di acronimi e sigle assortite, che rendono definitivamente incomprensibile ai comuni mortali l’operato del circo: PEI, PdP, DSA, BES…

Ecco, BES: la definizione di BES, oggi, compie dieci anni. Il che significa che sono dieci anni che qualche bel furbacchione della corte ministeriale (stavo per scrivere “del MIUR”, ma mi sono fermato in tempo) si è inventato il micidiale acronimo e, soprattutto, quel che dall’acronimo è sotteso, ovvero i Bisogni Educativi Speciali. Che, detta così, non sembra nemmeno una formula tanto temibile: parrebbe, anzi, un bel passo avanti verso la personalizzazione dell’educazione.

Parrebbe. In realtà, dietro ogni formuletta ministeriale, dietro ogni sorriso, dietro ogni sigla, si cela un pacco gigantesco, da recapitare a docenti, genitori e alunni: ormai, la cosa è talmente conclamata da non rappresentare, non si dice uno scoop, ma neppure una notiziola.

Ebbene, questa superlativa trovata dei BES va ad integrare un’altra trovata, antecedente, che è quella dei DSA: i Disturbi Specifici dell’Apprendimento. Un’idea che, all’apparenza, dovrebbe tutelare i diritti di studenti che abbiano difficoltà derivanti da un reale disturbo: dislessia, in primis, e poi discalculia, disgrafia, difetti di concentrazione, ipercinesi e via discorrendo.

Insomma, sulla carta, entrambe le sigle sembrano preludere a un premuroso interesse della scuola verso le fragilità degli studenti: il che sarebbe ottima cosa, cela va sans dire. Solo che, nella realtà fenomenica, che sarebbe poi quella che ci tocca affrontare ogni giorno, queste caramelline si trasformano in confetti purgativi e, da Alice in Wonderland, si passa a una sceneggiata di Mario Merola.

Prima di tutto, la diagnosi dei DSA, che prima era affidata alle aziende sanitarie, adesso può essere stilata da un qualunque psicologo privato: siccome una certificazione DSA significa, a un dipresso, la promozione sicura, provate a immaginare cosa accade, nel Bel Paese, quando il proprio pargolo, magari un filino ignavo, comincia a collezionare voti scadenti. Esatto: va a finire come il reddito di cittadinanza o l’invalidità civile, non si nega a nessuno. La qual cosa, ovviamente, oltre a gabbare gli impotenti insegnanti, rappresenta una mostruosa ingiustizia verso chi questi disturbi li abbia veramente.

Per i BES, è ancora peggio, perché lì non occorre nessuna certificazione: basta la segnalazione al consiglio di classe. E chi sono questi alunni BES? Stranieri che non parlano mezza parola di Italiano e che regole demenziali e sparagnine piantano, senza la minima alfabetizzazione, in una classe delle superiori, dove vegetano, isolati in una bolla di aconito, senza capire, senza apprendere e senza socializzare: un microghetto. Oppure studenti che hanno alle spalle famiglie problematiche: genitori violenti, separati, con problemi di droga. Ma anche, più semplicemente, alunni dal carattere un po’ difficile o dall’indole, diciamo così, un po’ostile alla disciplina o all’applicazione. Insomma: Franti.

Pare ovvio che, se, da una parte, la scuola non possa esimersi dal tenere conto di eventuali gravi situazioni, dall’altra non possa sostituirsi ad assistenti sociali, forze dell’ordine, psicologi e baby sitter: non dovrebbe essere questo il suo ruolo. Perlomeno in un Paese normale. Pare altrettanto ovvio che non si possa demandare ai consigli di classe la valutazione di quanti dei BES siano effettivamente BES: su chi soffra davvero e chi ciurli nel manico, in parole povere.

Solo che, siccome l’aria fritta non costa nulla, mentre le strutture sociali costano, si preferisce inventarsi queste categorie un po’ balorde e dai confini piuttosto incerti. E, poi, vada come vada: tanto, la scuola, ormai, si occupa solo di servizio sociale e burocrazia.

Così, festeggiamo questo parodistico genetliaco: i dieci anni di BES. In fondo, serve solo a farci capire che cambiano i ministri, i partiti, le dichiarazioni e i proclami, ma che idiozia e malafede non cambiano mai: e che la scuola, prima o poi, diventerà inutile, sommersa dalle sigle, dall’inglese e dal più terribile dei diritti: lo jus dementiae.

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