DI BATTISTA, IL CAUDILLO IN RISCIO’

di GIORGIO GANDOLA – Sogna di arrivare a Montecitorio in risciò. Non si sa ancora se da seduto o da schiavo, ma ci sarà tempo per capirlo. Di sicuro, Alessandro Di Battista non è per niente contento dei mezzi di locomozione usati finora, in sua assenza, dal Movimento 5Stelle: non certo dell’autobus di Roberto Fico (l’ha preso solo il primo giorno quando era, guarda il caso, pieno di fotografi), men che meno delle 11 auto blu messe a disposizione dal governo svizzero per la gita a Chiasso di Luigi Di Maio. Non del Suv di Beppe Grillo, sul quale per sua incolumità neppure salirebbe, e neanche del monopattino a motore, nuova allegra tendenza sponsorizzata dal governo giallorosso per far ripartire l’Italia dopo la pandemia.

Così il Di Battista, autoproclamatosi risorsa democratica del Paese, organizza il gran rientro in politica passando dal car sharing di Stato. Quindi, con questi chiari di luna e avvalendosi dei soldi del Monopoli messi a disposizione dal governo Conte, del risciò all’indiana. È la sua ultima idea da economista alternativo: «Inutile finanziare l’acquisto di auto elettriche perché risulterebbero in ogni caso troppo costose per i cittadini. Tanto vale che lo Stato compri direttamente le macchine e le metta a disposizione di tutti».

Una trovata interessante in senso post-sovietico, basta con la proprietà privata che fa solo danni, il futuro è nelle Lada o nelle Trabant. Ci avevano già provato una settantina di anni fa dall’Ungheria agli Urali con risultati non proprio brillanti. Lo avevano fatto signori con tante medaglie sul petto per evitare che qualcuno andasse in giro in Bmw e nel popolo della decrescita felice di insinuasse il virus dell’invidia sociale. Sembra che la genialata sia venuta in mente al Dibba sull’aereo di ritorno dall’ultimo Erasmus in Venezuela dove ha visto una società senza ricchi ed evasori: lì la condivisione è un valore e tutti hanno lo stesso grado di miseria. Non si dica che quella non è democrazia. Il maligno rinfoderi il sorriso obliquo, scrivendo Venezuela a nessuno di noi sono venuti in mente i 3,5 milioni di finanziamenti di Maduro perché si tratta solo di voci incontrollate e qui non si fa gossip.

Così è tornato Di Battista, l’anima barricadera del grillismo. Il problema è che nessuno all’interno del movimento sa più che missione affidargli: in motocicletta sulle polverose e gloriose strade di Che Guevara c’è stato, le tartarughe del Madagascar le ha raccontate, un paio di libri li ha scritti (gli manca sempre l’imperdibile opera con prefazione di Walter Veltroni, ma arriverà), la nostalgia del governo con la Lega l’ha esplicitata. Nessuno l’ha mai eletto perché non si è mai candidato ma dicono che la base gli voglia bene come al tempo del vaffa «perché è l’unico ancora duro e puro».

È bastato che rilasciasse un paio di interviste per mettere in allarme un intero governo perdutosi nei saloni di Villa Pamphilj (vorrei vedere voi in mezzo a quei corridoi dove la cera è in concessione ad Atlantia, senza navigatore o almeno navigator). Il Pd vede Di Battista come fumo negli occhi esattamente come Beppe Grillo che passa le giornate a tirargli scappellotti, maledetto figlio che spacca vetri con la fionda. Dietro questo cinema c’è qualcosa di serio: il movimento non è mai stato così spaccato. Da una parte il guru comico, il premier Conte e il presidente della Camera, Roberto Fico, rappresentano gli integrati che vogliono portare avanti la legislatura. Dall’altra Davide Casaleggio (lasciato fuori dagli Stati Generali), Di Maio e il Di Battista medesimo vedrebbero favorevolmente uno sgambetto rovinoso e un ritorno alle urne.

Per ora il progetto avanza molto piano, anche i grillini sono diventati dorotei e più che affidarsi a Rousseau, russano sulle comode poltrone delle partecipate. Nel frattempo la scena è tutta di Di Battista, il caudillo in risciò, che si intesta il nuovo declino per il bene di tutti noi e per recuperare qualche consenso. Fra poco ci sono le regionali in Campania, Puglia, Toscana, Marche (Liguria e Veneto sembrano fuori gioco) e le parole del Dibba un effetto l’hanno sortito: Pd e 5Stelle non sono ancora riusciti a trovare un candidato condiviso neppure a Barletta. Urge correre sul posto, ma da Roma in monopattino c’è il rischio di arrivare quando il centrodestra avrà già vinto.

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