DENUNCIARE O NO IL RISTORATORE CHE NON PAGA LE TASSE

Qual è il confine tra delazione e senso civico? Denunciare un illecito amministrativo è essere buoni cittadini o spioni?

Qui ce la giochiamo, vivendo in un Paese sempre a metà strada tra vizio e virtù, combattuto tra una legione di parassiti più o meno ai limiti della legalità e un manipolo di calvinisti d’assalto. Io credo che tutto ruoti intorno all’essenza antropologica del popolo italiano: un popolo che tiene famiglia, una Nazione di brava gente che, però, percepisce lo Stato come un molesto taglieggiatore e non come l’organismo formato dall’insieme dei cittadini stessi.

Dunque, sembrerebbe, a un dipresso, che la retorica risorgimentale, ben esemplificata dalla seconda strofa del nostro inno nazionale, quella che non si canta mai, perché dice: perché non siam popolo perché siam divisi, sia ancora di una certa attualità. Nel nostro caso, però, non si tratta di regni preunitari, sibbene di un ristoratore dell’Isola d’Elba che ha deciso di far da sé: il che, nello specifico, vuol dire davvero fare per tre. Il Nostro, infatti, era un evasore totale: non pagava le tasse, insomma, finchè i Finanzieri di Portoferraio non se ne sono accorti e lo hanno, per così dire, blindato.

Brutta cosa, intendiamoci: se tu non paghi le tasse, ne devo pagare di più io, e questo non è cosa buona né, soprattutto, giusta. D’altronde, l’evasione fiscale, in Italia, è una piaga endemica, cui tutti i governi succedutisi dal 1861 ad oggi hanno cercato, invano, di mettere una pezza: fregare lo Stato, evidentemente, ce l’abbiamo nel DNA. Così, lo Stato prova a difendersi, attraverso una serie di iniziative, occhiuti controlli e balzelli assortiti, con cui tamponare la falla e punire i reprobi. Solo che, trattandosi dello Stato italiano, capita spesso che faccia le cose un tantino a casaccio e finisca con lo sparare nel mucchio: si abbaia per uno scontrino mancato e si chiudono due occhi su evasioni miliardarie: capita, quando il sistema di controllo randomizza un po’ troppo. Questo non per giustificare l’evasione fiscale, ma per spiegare meglio il fenomeno.

Per arginare il pericolo, dunque, si sono inventate soluzioni, più o meno barbine, tra cui il vero e proprio invito alla delazione: gli Italiani, si sa, sono anche un po’ invidiosetti delle altrui fortune e passare dall’invidia al sospetto è passo breve. Quello lì si è comprato la Ferrari, ha la villa di qui e l’attico di là: secondo me, non paga le tasse! E giù telefonate anonime all’Agenzia delle Entrate. E anche il cambiamento di atteggiamento dei nostri compatrioti, qualora si garantisca loro l’anonimato, meriterebbe più di un elzeviro. Comunque la vediate, il ristoratore elbano non è stato preso con le mani nella marmellata dai solerti agenti della GdF: lo hanno denunciato i clienti.

Dico sul serio: dopo essersi gratificati stomaco e palato, gli avventori del noto ristorante hanno denunciato il loro anfitrione per evasione fiscale. Resta da stabilire se si sia trattato di una reazione a qualche cacciucco non ben cucinato o il seguito di qualche battibecco, di quelli che, nei locali della penisola, felicitano spesso le relazioni tra clienti e ristoratori. Fatto sta che qualche cliente, evidentemente inverminato contro il ristoratore suddetto, ha insufflato nell’orecchio dei tutori del fisco il suggerimento di andarsi a controllare le denunce dei redditi del malcapitato. Le quali denunce pare non esistessero proprio, per una cifra intorno ai 200.000 euro.

Mi viene anche da pensare a come i tutori medesimi, in assenza di F24 da parte di uno che gestisca un avviato ristorante, possano non aver pensato che qualcosa non andava, senza bisogno della soffiata di qualche avventore, sed transeat: siamo un Paese strano, lo abbiamo già detto. Alla fine della triste storia, rimane il dubbio iniziale: delatori o onestuomini, rancorosi o olimpici? E’ un dubbio che, temo, ci porteremo dietro per sempre: noi siamo un po’ e un po’, senza eccezioni. Un’eccezionale normalità, in definitiva.

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