DECIDIAMO SE ESSERE PIU’ OTTUSI DEL COVID

di MARIO SCHIANI – “Il virus? Non ha cervello”. Lo sostiene, in un video di facile reperibilità, il dottor Michael Ryan, dirigente dell’Organizzazione mondiale della Sanità. “Al contrario – è sempre Ryan a parlare – l’uomo il cervello ce l’ha eccome”.

Un’osservazione forse un po’ scontata per uno scienziato, ma bisogna dare atto a Ryan di averla inserita in un ragionamento più complesso. Questo: il virus sa fare una cosa e una cosa soltanto, riprodursi invadendo le cellule umane. Non ha volontà e non è né crudele né pietoso: è un meccanismo biologico che scatta all’insaputa di se stesso, come di tanto in tanto capita a certi sottoprodotti della democrazia rappresentativa. L’uomo invece la volontà ce l’ha e dispone anche di intelligenza e capacità di organizzazione. Come dire che possiede tutte le armi per vincere la partita contro l’ottuso virus. E invece la sta perdendo. E male. Com’è possibile?

Si tratta di sconfitta su scala mondiale, a giudicare dai dati raccolti quotidianamente dalla stessa Oms, che purtroppo non vede (più) l’Italia in controtendenza. Era forse giusto osservare una certa prudenza nel commentare i primi segnali della risalita dei contagi, ma ora che siamo arrivati a sfiorare quota mille al giorno, sembra sia il caso di fermarci a riflettere.

A voler essere onesti, non si può fare a meno di chiedersi che scusa troveremo questa volta. La prima ondata ci ha colto di sorpresa, lo sappiamo. Certo, del virus avevamo sentito parlare, ma la distanza dagli avvenimenti (per settimane la questione sembrava riguardare solo la Cina) provoca sempre una distorsione della percezione. Ci pensa l’esperienza diretta a sistemare le cose. E l’esperienza diretta ha visto la nostra gente ammalarsi e morire, i nostri ospedali fare i salti mortali per fronteggiare una situazione mai vista, le istituzioni, centrali e locali, scricchiolare paurosamente e, infine, le nostre stesse esistenze individuali messe alla prova da sfide economiche, culturali e psicologiche.

Certo, era legittimo aspettarsi che dopo il lockdown e la paura, dopo le autocertificazioni e i bollettini di guerra delle 18, intervenisse, al primo calar dei tamponi positivi, una certa euforia, un senso di liberazione e una spinta vitalistica a ricominciare, magari appunto dalle vacanze estive. Meno legittimo che sia subentrata, in molti, una specie di amnesia, di rimozione se si vuole: il virus, come la panza dell’Olio Sasso, pare non ci sia più, se n’è andato, “non c’è Coviddi qui”.

E anche quando i dati ormai dicono apertamente il contrario, l’istinto è quello di correre ai distinguo, alla minimizzazione: sì ma i positivi sono quasi tutti asintomatici, sì ma ci sono meno ricoveri, sì ma le cure sono migliorate. Davvero sulla base di queste considerazioni raccolte più o meno a orecchio ce la sentiamo di esporre anche pochi soggetti – perfino uno solo – al rischio di ritrovarsi in terapia intensiva? Davvero davanti alla salute val la pena continuare con atteggiamenti che favoriscono l’autogol (ogni riferimento a fatti, persone e Coppe è puramente casuale) se non proprio l’autolesionismo?

Si segnala oggi il fenomeno di tanti giovani che rientrano dalle vacanze felici e spensierati quanto positivi e asintomatici. Il rischio che da loro possa ripartire il meccanismo esponenziale del contagio non è poi così trascurabile. Dobbiamo chiedere loro di comportarsi con responsabilità, ma è ovvio che non possiamo pretendere dagli altri sacrifici che non imporremmo a noi stessi. E allora, ancora prima di criticare governo e Regioni, che pure occorre incalzare, di pretendere efficienza da Ast e ospedali, comunque da tenere sotto osservazione, e di irridere la ministra Azzolina, la quale dovrebbe sforzarsi di esporre meno il fianco al ridicolo, bisognerebbe riprendessimo a osservare quelle misure che, ormai, neanche il più ottuso tra noi può far finta di non aver capito: igiene, distanziamento e, sì, le maledette mascherine. Comportamento frutto di un uso moderato, per nulla faticoso, di quel cervello che, come si è detto, può farci vincere la partita.

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