DAVANTI AL COVID SIAMO DIVERSAMENTE ITALIANI

Una recente disposizione aziendale proveniente dalla sede centrale sul peggioramento della situazione Covid in Europa mi ha acceso una lampadina. Essendo la società madre tedesca, l’allarme è scattato come diretta conseguenza della situazione dei contagi fuori controllo in Germania: l’invito fermo è un ritorno ai divieti di tante attività che si erano parzialmente allentate. Da qui la riflessione, facendo un parallelo azienda-stato, forse un tantino osé.

Ricostruiamo la storia della pandemia fin dal suo inizio. Al netto delle prime titubanze anche gravi nel non creare subito alcune zone rosse, L’Italia ha seguito con coerenza una strategia di grande prudenza. Dai divieti dei voli dalla Cina (i primi al mondo a prendere una decisione così), alla costituzione di una task force mista tra scienziati e protezione civile. Ci ricordiamo dei bollettini giornalieri assillanti e pure dei DPCM di Conte, ma grazie a questa massima allerta ci siamo attrezzati subito per affrontare un’emergenza fuori dalla portata di chiunque. Di certo non abbiamo fatto la figuraccia degli inglesi (ancora europei allora) che didatticamente e spietatamente spiegavano i vantaggi della sconosciuta immunità di gregge, in sostanza annunciando come la morte di migliaia di persone fosse la strada necessaria per una soluzione finale: peccato che il fautore di tale sfacciata teoria se la sia data poi letteralmente a gambe, evitando cronisti e pubblico inferocito.

Nel frattempo, nelle aziende ci si portava avanti inasprendo se possibile i severi lockdown e divieti vari. Ricevevo le prime raccomandazioni dalla casa madre e annotavo molti “già fatto”. Eravamo avanti e ricordo che nei (virtuali) tavoli internazionali ci guardavano con rispetto.

La situazione peggiora e viene nominato Arcuri, commissario per l’emergenza. Grande impasse sulle disponibilità di mascherine, introvabili per tanto tempo, idee fantasiose e inutili come i banchi a rotelle per le scuole e il progetto delle “primule”, esteticamente favolose, ma nella realtà un flop clamoroso. Nonostante ciò, il Paese reale regge e si protegge con tutti i mezzi possibili, soprattutto col cuore e la solidarietà, sui balconi e con i video. Gli altri non fanno certo di meglio, solo che a noi piace più crogiolarci nei nostri errori che riconoscere i progressi. Arriva l’estate e si pensa che la fine del virus possa essere vicina. Niente di più sbagliato. Vacanze all’insegna del divertimento che pagheremo caro nell’autunno con lockdown non più totali, ma con restrizioni vere. Le categorie più esposte al contagio sono veramente tartassate, ma la linea è molto chiara, seppur dura. Nascono le zone a colori e arriva la prima vaccinazione simbolica del 27 dicembre, la speranza si riaccende.

Sullo sfondo, nelle imprese si continuano ad applicare seriamente le regole con grande rigore, il vantaggio nei comportamenti virtuosi sul resto d’Europa si allarga.

A febbraio il cambio di governo, arriva Draghi con un nuovo team e il generale Figliuolo sostituisce Arcuri. La solita Italia – dicono neanche tanto sottovoce i miei colleghi stranieri -, non riescono a evitare le crisi nemmeno nell’emergenza. Vedremo, rispondo piccato, soprattutto ai paesi frugali che sembrano i maestrini del momento.

Intanto, sfodero l’indice di contagiosità italiana in azienda: la più bassa di tutti gli altri paesi e questo vorrà ben dire qualcosa. Noi più attenti degli altri, nessun dubbio.

Partono le campagne vaccinali. Sprint inglese che recupera le figuracce iniziali, il biondo spettinato sembra in auge perché negozia meglio la disponibilità delle dosi, essendo ormai fuori dall’Europa. L’Italia parte così così ma poi non perde più un colpo e si porta nei primi posti con una costanza che non ci è proprio congeniale. Non rallentiamo sulle restrizioni, mascherine sempre e ancora limiti agli esercizi pubblici. Teniamo duro mentre altri paesi smaniano per abbattere i divieti. Addirittura introduciamo l’obbligo del green pass per i luoghi di lavoro e altro, primi al mondo anche in questo caso. Al contrario UK e paesi nordici, in compagnia di tutto l’Est Europa, refrattario alla vaccinazione, riaprono e ritornano alla cosiddetta libertà. Sì, di contagiarsi di nuovo, perché vediamo i risultati impietosi di queste scelte sbagliate. Anche la granitica Germania, quella della nota affidabilità merkeliana, vacilla sotto i colpi di cinquantamila contagiati al giorno e più di duecento morti.

Anche nelle organizzazioni italiane si seguono diligentemente le norme, nessun cedimento e benvenuto al green pass, ottima scelta di protezione. Presenze ancora limitate e nessun assembramento all’italiana. Ecco perché le ultime disposizioni aziendali che arrivano dal centro a noi italiani non fanno né caldo né freddo: noi siamo ok.

Morale della favola. Ogni tanto dobbiamo riconoscerci dei meriti e questo è il momento per farlo. Se ci guardiamo intorno e indietro, la nostra prudenza sta pagando molto. Se stiamo meglio degli altri, costretti ovunque a frettolose retromarce, a nuovi lockdown, a obblighi di greenpass, non è un caso. Finalmente ci comportiamo da “diversamente” italiani e forse siamo così sorpresi che non apprezziamo abbastanza il percorso fatto. Se non altro lo stanno apprezzando gli altri, a loro spese.

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *