DA BOLOGNA LA ROSSA A BOLOGNA LA RISSA

di GIORGIO GANDOLA – C’era una volta la Bologna rossa in cui Beniamino Andreatta, pulendosi gli occhiali con la cravatta, buttava lì: “Perché non proviamo con Romano?” e inventava l’Ulivo di Prodi che avrebbe battuto il Berlusca.

C’era una volta il macellaio Giorgio Guazzaloca che sfidò il partitone unico della sinistra alla salamella e quando Berlusconi gli mandava i manifesti di Forza Italia li nascondeva nel retrobottega sussurrando: “Qui con la mia faccia si vince, con la sua si perde”. Fu un trionfo.

E c’era quel sindaco di Carpi che a Giorgio Bocca, interessato a capire cosa fosse il socialismo emiliano, rispose: “Ma è il capitalismo gestito da noi, andiamo!”.

C’era una volta quel mondo, dove avevano capito tutto della politica in salsa italiana e forgiavano gente tosta a livello locale, prima che il Nazareno Global tendenza Arcobaleno facesse invecchiare l’intero apparato in grisaglia e lo sostituisse con le Sardine.

Oggi Bologna sembra Beirut e perfino Andreatta, mettendosi in tasca la pipa accesa (era un fumatore molto distratto), direbbe: “Non ti riconosco più, amore”. Il motivo è strano, visto da piazza Maggiore: tutti litigano con tutti, i candidati non si parlano, la guerra per le primarie è sgangherata e nevrotica, per una questione di gazebo sui marciapiede sono volati gli schiaffi e intervenuti i vigili. Dov’è finito il fairplay?

A San Lazzaro di Savena è finito, territorio politico di Isabella Conti, portata in palmo di mano dalla sinistra riformista emiliana, due mandati da sindaco a San Lazzaro, popolarissima nel capoluogo. Con molti pregi (donna, giovane – 39 anni – avvocato) e un enorme difetto che ha fatto scattare la repressione del Nazareno: fu madrina della Leopolda, quindi renziana in carriera, capace di far venire il mal di pancia dall’invidia a Maria Elena Boschi. Davanti a un simile curriculum, il tenero Enrico Letta ha dimenticato in un amen la battaglia per la parità di genere e ha candidato un uomo meno indigesto ai gran visir del partito (Prodi, Errani). Il prescelto è Matteo Lepore, assessore del sindaco uscente Merola, fedele alla linea del segretario e vicino ai vertici regionali. Più la Schlein che Bonaccini.

La battaglia si è fatta aspra in avvicinamento alle primarie di questo week-end, che dovranno decretare il candidato ufficiale nel campo di margherite della sinistra dei diritti e della felicità. Lepore è molto preoccupato, la Conti è molto aggressiva. E il centrodestra, che neppure qui ha un candidato da spendere ma conta su un bacino di voti non indifferente, sarebbe intenzionato a privilegiare l’ex renziana. Per la verità lei continua a ripetere che non lo è più e che si presenta sotto il cartello d’una lista civica, ma la diffidenza rossa è suprema e l’idea di farsi rappresentare da una Leopolda Girl manda ai matti i duri e puri.

Ormai siamo alle accuse personali. La Conti ha definito “misogeno” il Pd che l’ha bollata come renziana, Lepore ha alluso che fra le aziende sostenitrici della Conti ci siano “imprenditori che ci chiedono di non rispettare le norme del contratto nazionale di lavoro”. La Conti si è inimicata le potenti cooperative rosse per aver bocciato un progetto urbanistico a San Lazzaro, Lepore piace meno all’uomo della strada, anzi alla massaia al mercato.

Proprio lì è avvenuta la rissa più imbarazzante, con accuse reciproche davanti alle telecamere e richieste di scuse “sennò ci vediamo in tribunale”. Il governatore Bonaccini ha provato a far da paciere: “Li invito a confrontarsi nel merito”. Ma è stato zittito come il malcapitato che mette il dito fra moglie e marito.

Così Bologna perde le staffe e il Pd perde l’aplomb. Il partito che più di tutti invoca le buone maniere e le regole del centralismo democratico (per gli altri), la politica all’acqua di colonia del rispetto e della tolleranza, nel santuario rosso mette in scena un regolamento di conti da asilo Mariuccia. Eppure da queste parti seppero perfino adottare l’ecumenismo positivista.

Accadde nel 1988, quando Papa Wojtyla fece un giro di pista su una Ferrari sul circuito di Fiorano. Allora il partito non si espresse, anzi rimase in preoccupato silenzio, fino a quando il meccanico Amos Silingardi del reparto corse non disse: “Mi piace quel polacco con gli zebedei al tungsteno”. Fu il segnale. Allora il popolo rosso cominciò a vendere l’anima a Dio dopo averla venduta per decenni al diavolo. Ma senza risse, con stile.

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