CREDERE ALLA CHIESA, NON AL VANGELO: ROBA DA ATEI

di DON ALBERTO CARRARA – Una delle realtà più curiose nella società italiana di oggi è il rapporto fra credenti e laici. Ci sono problemi colossali dietro quel “dato”, ma, senza pretendere di affrontare temi più grandi di noi, vorrei provare a mettere a fuoco a qualcosa di quello che si vede.

La parte maggioritaria – forse maggioritaria – della Chiesa cattolica si è spostata, nei tempi recenti, all’indietro, se così si può dire, verso le sue radici. Si torna al Vangelo. Si è cristiani perché si crede alla storia scritta in quel libro, quella che riferisce dell’uomo di Nazaret e del Golgota, morto e risorto. Da quella storia lì, però, sono nate tante altre storie, varie e variamente interessanti. In nome del Vangelo i cristiani si sono impegnati in una infinità di cose. Alcune strettamente legate a quel racconto e a quella storia – si pensi al monachesimo – altre invece legate a quella storia in maniera piuttosto blanda, spesso di difficile percezione. In nome del Vangelo si sono fondate istituzioni caritative, culturali, scuole, ospedali (il nome storico di “ospedale” in francese è Hôtel-Dieu, l’ostello, la casa di Dio)… e in nome del Vangelo si sono fatte politiche di ogni colore e perfino guerre. Di tutto insomma.

Perché parlo di questo “dato”, peraltro scontato? Non nutro la pretesa di fare un trattato di storia del cristianesimo. Ma vorrei capire una incertezza che sorge sempre quando ci si avvicina, anche oggi, al cristianesimo. Qualcuno – cattolico e non – accetta la fatica di andare alle radici e cerca di arrivare fino al Vangelo. Qualcuno – cattolico e non – si ferma prima e guarda a qualcuna delle tante realtà che al Vangelo si riferiscono. E in nome di quelle realtà giudica il cristianesimo. È ovvio che quando chi giudica il cristianesimo non è cristiano è portato più facilmente a fermarsi prima del Vangelo. Capisce una istituzione ecclesiastica, capisce un po’ di meno un uomo che è anche Dio, che muore, che risorge.

Questo spiega un fenomeno, molto moderno e, per certi versi, molto italiano. Sono i cosiddetti “atei devoti” o “laici devoti”. Non credono o sono agnostici, ma vedono bene il ruolo che la Chiesa può esercitare come “volano stabilizzatore” con le sue istituzioni e la sua rete di parrocchie, di oratori, di gruppi. Sono ammiratori di Papa Ratzinger, per l’enfasi culturale del Papa tedesco. Ammirano molto meno Papa Francesco per la patina di radicalismo evangelico di Papa Bergoglio. Gli atei devoti, dunque, non vanno, generalmente, fino al Vangelo. Si fermano prima.

Ma, proprio per questo, nasce un bel problema che interessa loro, gli atei devoti, ma interessa, e parecchio, i credenti. Si potrebbe riassumere con due domande. La Chiesa serve ai laici devoti? Sì, molto. I laici devoti servono alla Chiesa? No.

Potremmo cercare di giustificare un paradosso del genere con un altro paradosso. Se tutte le istituzioni “cristiane” crollassero, ma restasse il Vangelo, la Chiesa avrebbe ancora senso? Sì. Se, al contrario, il Vangelo sparisse e restassero le istituzioni ecclesiastiche, la Chiesa avrebbe ancora senso? No.

Sicché i rapporti fra credenti e laici si giustificano con tanti motivi, storici, sociali, culturali… Ma, alla fine, resta inevitabile, quella distonia. Credere al Vangelo non è lo stesso che non credere. Elementare, Watson. Elementare ma, mi sembra, spesso dimenticato.

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