COSI’ HO IMPARATO AD AMARE VALENTINO ROSSI

Non so niente di forcelle, elettronica e telai. Come molti, sono un tifoso partigiano e basta: Ferrari, Ducati, Giacomo Agostini da bambino, qua e là Alboreto e Capirossi, infine Valentino Rossi e basta.

L’ho incontrato la prima volta a cena molti anni fa: mi sorprese la sua semplicità nel privato ma, soprattutto, mi esaltò la condivisione dell’amore per John Belushi. Gli raccontai di un mio tour a Chicago per conoscere i posti che il mattatore dei “Blues Brothers” e di “Animal house” frequentava nell’Illinois e i locali dove si esibiva. Vale mi confessò essere un viaggio, quello, che teneva in serbo da affrontare a carriera finita. Ci siamo rivisiti qualche altra volta, più o meno di sfuggita, un giorno d’estate in palestra a Pesaro dove stava recuperando da un infortunio: sempre allegro, sempre ironico, sempre sereno. Mi sorprese ancora: era un impianto comunale, dove gli era stata riservata una specie di cella dai muri scrostati con un vogatore bolso e un po’ sgangherato. Andava avanti e indietro scherzando, ridendo, parlando della sua voglia di cose normali. Mi pareva non sudasse.

L’uomo ha certamente stregato ancor più del famelico macinatore di record e vittorie: per chi di motori sa ben poco, capisce ancora meno, bastavano e avanzavano i suoi travestimenti, le parrucche, gli slogan, le mattane. E poi quel folto gruppetto di amici fedelissimi che lo seguiva, lo festeggiava ovunque, immersione nel valore dei rapporti da spartire con gli affetti più vicini, per regalarli a chi lo ha vissuto dalle tribune, dalle tv, da lontano.

Ho avuto la fortuna di lavorare per moltissimi anni a fianco di testimoni e menestrelli delle due e delle quattro ruote: il poeta Giorgio Terruzzi, il ridondante Guido Meda, il pacioccone Paolo Beltramo, amato e benvoluto da tutti i paddock. Da loro mi sono fatto spiegare, raccontare, svelare. L’intervista di fine anno a Vale era la chicca di SportMediaset: uno spettacolo. Mai restio nel raccontare intimo, pubblico, privato, familiare. Incalzato a tre e sessanta si dava senza remore.

Ho scoperto nel tempo che esiste una folta opposizione anche italiana a Rossi, nemmeno un sottobosco, piuttosto una pletora accanita di detrattori della persona e del centauro. Sorpreso e amareggiato, non ho mai approfondito perché in fondo il destino dei giganti è imbattersi in pulci fastidiose, ed anche di loro necessita la natura di questo pianeta così strano, così pronto all’invidia e alla gelosia prima che all’affetto se non addirittura all’amore.

Quel che è certo è che il circo della MotoGP si è nutrito ed è cresciuto abbeverandosi alla ricchezza di Valentino Rossi, showman in sella senza eguali, capace di trasformarsi da irraggiungibile a uno qualsiasi di noi. Nello stesso attimo, nello stesso giro di pista. Con fragilità e difetti comuni mischiati a inarrivabili virtù.

Senza eccedere troppo nel lirismo, poiché il tempo per celebrare Valentino Rossi non finirà mai per come restano eterne le leggende, dobbiamo prepararci al futuro di questo sport che ripartirà – dopo l’ultimo GP a Valencia – con un vuoto grande, privo di una storia irripetibile, diverso e certamente più normale, più silenzioso.

Ho tremato quando, nell’agosto 2020 in Austria, due moto – quelle di Zarco e Morbidelli – gli volarono davanti e dietro a pochi centimetri dalla testa. Abbiamo creduto tutti a un miracolo e a un segnale: a fine gara si ritira, pensai. Bianco e choccato, descrisse lo scampato pericolo senza nemmeno accennare a smettere e infatti ha proseguito un anno ancora. Orami senza più quell’incoscienza, quell’esuberanza di sempre, ma comunque è arrivato fino a Valencia, 14 novembre 2021.

Ci restano gioie, emozioni, esultanze e sofferenze (specie in questi ultimi anni in retrovia) che conserveremo tutte con cura e nostalgia. Oltre all’eredità sportiva a diversi suoi talentuosi eredi (a cominciare da Bagnaia, che a Valencia ha vinto) allevati in prima persona, come un maestro antico.

Io, profano tifoso di Valentino Rossi, pensando al suo sorriso e ai suoi modi oggi non provo tenerezza né malinconia, portando come me solo la sua grandezza leggera, festosa, caciarona, a 300 all’ora anche da fermo.

Grazie di tutto.

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