COSA CI DICONO I TREMENDI VIDEO DI UN OMICIDIO PER STRADA

Alika Ogorchukwu, venditore ambulante noto a Civitanova Marche, in provincia di Macerata, è stato ucciso su un marciapiede del centro. L’assassino è un 32enne di origini campane, che si trova attualmente in stato di fermo. Si chiama Filippo Claudio Giuseppe Ferlazzo. Ha ucciso Alika per la richiesta di denaro troppo insistente. Lo ha tenuto premuto a terra con un ginocchio, schiacciandogli la testa sull’asfalto. «Così lo uccidi!», si sente urlare da un passante in uno dei video che sono girati sui social. I presenti però non sono intervenuti per difendere l’aggredito. L’omicida è poi fuggito con la fidanzata, ma è stato rintracciato dalle forze dell’ordine nel giro di pochi minuti. Questa la notizia letta su uno dei tanti siti internet.

Sono quei fattacci di cronaca nei quali le cose più incredibili capitano con la più incredibile facilità, tutte insieme e tutte concentrate in un instante. Anche per questo, nella notizia che abbiamo letto, tutto appare “esagerato”. Un delinquente in libertà – perché uno che ammazza così è un delinquente – uccide soltanto perché un extracomunitario gli chiede l’elemosina.

Ma anche chi guarda esagera. I presenti non si sono limitati a guardare, ma hanno filmato: uno sguardo alla seconda potenza.

Di fronte a un fatto così inspiegabile cerco di “spiegare” riferendomi alle memorie nobili di cui dispongo. Il libro della Genesi racconta di un truce personaggio primitivo, Lamech: Lamech disse alle mogli: Ada e Zilla, ascoltate la mia voce; mogli di Lamech, porgete l’orecchio al mio dire: Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino ma Lamech settantasette” (Gen 4, 23s). Filippo Claudio Giuseppe Ferlazzo è più primitivo di Lamech: non ha subito neppure una scalfittura. Solo la domanda di un’elemosina, forse un po’ insistente. Nient’altro.

E per quanto riguarda chi ha visto e non ha fatto nulla, mi sono ricordato, ovviamente, della parabola del buon samaritano. Anche il fattaccio di Civitanova Marche è un vangelo alla rovescia. Il buon samaritano si commuove, si ferma, si prende cura del malcapitato. Gli spettatori di Civitanova Marche sono prigionieri di affetti inefficaci. Vedono, qualcuno grida “così lo uccidi”. Quindi qualcuno, forse, si è commosso. Ma non si fa nulla. Si filma, cioè si continua a guardare per interposto telefonino.

Con lo sguardo, in effetti, tutto può iniziare e tutto può finire. Si sa che lo sguardo è il senso più vorace. Può succedere che, dopo aver visto, dopo aver ingoiato le immagini, ci si lasci “prendere”, ci si commuova e si faccia. Ma, essendoci ingolfati con quello che abbiamo visto, spesso ce ne riteniamo soddisfatti e ci fermiamo lì.

La parabola del buon samaritano, in effetti, è soprattutto due cose. Prima: la commozione che parte dallo sguardo e prende il cuore e le mani e tutto il resto. Seconda: la “perdita di tempo” che ne segue. Bisogna rinunciare a qualcosa che si stava facendo per fare quest’altra cosa imposta dal cuore. I passanti di Civitanova Marche forse si sono commossi, ma non hanno fatto nulla e non hanno avuto tempo da perdere.

A questo punto, però, non butterei troppo la croce addosso neppure ai passanti che, invece di trattenere l’energumeno, hanno filmano con il loro telefonino. Questo horresco referens rischia di creare, di fronte al colpevole mostruoso, un mare di innocenti fasulli, fuori Civitanova. I presenti hanno guardato e non hanno fatto nulla. Vero. Ma anche noi guardiamo chi ha guardato e non facciamo nulla. Abbiamo un alibi di ferro: non siamo a Civitanova Marche. Ma siamo spettatori anche noi: di Civitanova Marche, dell’Ucraina, dell’Africa e di tanto altro. Facciamo parte, anche noi, di un mondo di guardoni impotenti e impauriti. Non ne siamo colpevoli, forse, ma ci siamo dentro.

Un pensiero su “COSA CI DICONO I TREMENDI VIDEO DI UN OMICIDIO PER STRADA

  1. Cristina Dongiovanni dice:

    Siamo totalmente colpevoli di tutto certo, la nostra natura è colpevole di oltraggio, indifferenza a noi stessi. Ma scinderei gli ambiti, le circostanze, perché non danno le stesse occasioni. Alcune sono difficili da cogliere, gestire, comprendere. Sono lontane, non ci danno neppure voce, ci prendono quasi in giro. La guerra dipinta come una fabbrica di territori, ci parlano dei morti civili e solo ogni tanto si ricordano di chi combatte (bel resoconto, una filosofia della necessità agghiacciante!). Ma altri eventi invece sono tremendamente vicini, inesorabili, miseramente giocati tra qualche paio di nostri simili. Se anche lì troviamo una scusa per agire le nostre fragilità sentimentali ed emozionali buona fortuna umanità! Non deve esistere troppa comprensione, deve esistere una campagna civile di coinvolgimento morale. Oggi il coinvolgimento che ci propinano è fatto d’altro, o ci si diverte o ci si raduna socialmente sotto il tetto dei simili a delinquere o a far finta che la vita è bella per forza. La socialità va curata, va aiutata non solo nelle scuole (e questo argomento lo lasciamo dov’è oggi) ma anche in tutti gli altri ambiti dove l’aggregazione può trasmettere un messaggio di vera vicinanza agli altri. Sto osservando alcune iniziative buone anche in ambito lavorativo, ma sono veramente troppo poche e spesso mal dichiarate. Le persone hanno bisogno di capire, di essere rese protagoniste della vita sociale del proprio quartiere, delle strade dove passano tutti i giorni, degli inquilini della porta accanto. Ha bisogno che il sospetto venga elaborato coscienziosamente, che il dubbio divenga un’arma di protezione. L’ indifferenza è non sentirsi parte, è sentirsi altro, questo dobbiamo combattere. Se chi dovrebbe educare non ci pensa o ci pensa male carissime anime di questa civiltà che ci ingozza di inutilità con l’imbuto, facciamo qualcosa noi, proviamo a ripensare a quei cinque minuti di sgomento che la circostanza induce. Proviamo a capire cosa ci immobilizza, cosa arresta l’istinto di aiutare qualcuno a non morire. Proviamo a pensare a cosa avremmo potuto fare, proviamo a metterlo nell’archivio dei nostri valori. Proviamo ad usarlo, che a volte sembra che il male la faccia franca proprio perché ci ha profondamente capiti, sa come deve trattarci per vincere. Ci parla della morte a cui non pensiamo mai, questa è la sua furbizia. Ci coglie impreparati, ci tempesta di terrore e ci fa indietreggiare. Tanti minuti interminabili per rimanere inermi, come gli animali quando sono attaccati. Forse per comprendere dobbiamo ripartire proprio da lì. Il ragno e la formica immobili attendono che la minaccia si allontani, poi riprendono il movimento, contenti di essere ancora vivi mentre “l’altro da se” purtroppo per lui, è stato sfortunato. Che la natura ci aiuti ad uscire dal nostro istinto! Mentre attendiamo che ci sappia raccontare qualcosa oltre al gaio rumore che intorpidisce, distoglie, rianima senz’anima, noi dobbiamo cercare di crescere. Abbiamo una potenziale bellezza che dobbiamo coltivare, un pensiero ampio tutto umano che dobbiamo cogliere. Che vale per tutti e per tutto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *